Vuoi rimanere... col fiato sospeso?
Ecco, di seguito, in anteprima, il primo capitolo del libro.
Per scoprire come va a finire... non resta che comprarlo!
1.
Sarà stato che un giudice gli aveva tolto il permesso
di vedere suo figlio solo perché non aveva un reddito
sufficiente per prendersi cura di lui; sarà stato che
al lavoro stavano tagliando il personale e lui era lultimo
arrivato. Oppure sarà stato che il caldo torrido di quel
giovedì mattina aveva dato alla testa a un uomo, il quale,
appena sveglio, aveva avuto la brillante intuizione di recarsi
a casa dellex moglie e di avvisarla del fatto che di lì
a poco lo avrebbe visto su tutti i telegiornali, almeno così
avrebbe potuto essere finalmente orgogliosa di lui.
Fatto sta che quella mattina di fine giugno, seduto con le gambe
a penzoloni dal tetto della lussuosa casa di via SantOrsola
15, più o meno a diciotto metri da terra, cera Tommaso
Mari.
Ad avvistarlo per prima era stata la portinaia, la quale, nello
svolgere minuziosamente il suo compito di ripulitura del marciapiede,
aveva visto riflessa nel cemento una strana ombra, di quelle
che prima non cerano.
La signora Maria era una donna attenta e scrupolosa, sempre ligia
al dovere. Se una cosa era in un modo, doveva restare in quel
modo. Non cera motivo di cambiare. Quellombra strana,
che solitamente non era così, attirò la sua attenzione.
Alzando gli occhi al cielo vide Tommaso Mari.
La polizia arrivò nel giro di cinque minuti, visto che
il tutto si stava svolgendo a pochi passi dal commissariato di
piazza San Sepolcro. Per fare prima alcuni agenti andarono a
piedi, portandosi appresso la brioche con cui stavano facendo
colazione.
Peccato che il cappuccio non sia asportabile.
Poi arrivarono i vigili del fuoco muniti di quei bianchissimi
mega meterassoni con la x nel mezzo, come a indicare
con precisione il punto in cui il proiettile umano di turno dovrebbe
colpire.
Inesorabile, arrivò anche la stampa.
Il commissario Fenisi giunse sul posto in un baleno, tanto che
il suo alito portava ancora le tracce delle grosse e soddisfacenti
russate di pochi minuti prima. I suoi occhi avevano lespressione
dei sogni andati via per sempre e le guance provavano che il
cuscino era stato maltrattato. I grossi baffi, al contrario,
erano ordinatissimi. Dopotutto, sono pur sempre un commissario.
Appena arrivò i giornalisti capirono che quellometto
tarchiato, coi baffi e unespressione tra lassonnato
e lo scazzato era ciò che più si avvicinava al
capo. Lo assediarono e iniziarono a tempestarlo di domande, ma
lui tirò dritto dandosi un certo tono, di quello che adesso
sistema tutto, vedere per credere.
«Achilli, che succede?»
«Dottore, minaccia di buttarsi.»
«Grazie, mi hai aperto un mondo. Pensavo che volesse fare
una passeggiata su un cornicione e che fossimo noi i cattivoni
a volerglielo impedire.» Poi aggiunse: «Ci avete
già parlato?»
«Ci ha provato lispettore capo Esposito, ma non ne
vuole sapere.»
«Pelide, passami il megafono.»
Pelide era il soprannome dellispettore Enea
Paride Achilli. I suoi genitori dovevano aver accolto la sua
discesa sulla terra come un qualcosa di miracoloso e divino.
Volevano che in paese - una comunità della Valsassina
in cui tutti si conoscono dalla nascita - si sapesse che loro
figlio sarebbe diventato qualcuno di importante, non come loro,
poveri contadini. Lo amavano a dismisura. È così
che erano giunti ad affibbiargli non uno, ma bensì due
nomi epici. Oltre al cognome, dal quale è tratto il soprannome.
A inventare il nomignolo era stato un vecchio centralinista appassionato
di letteratura, che qualche anno prima aveva appeso la divisa
per indossare in maniera permanente e quasi spasmodica le pantofole,
dopo anni di duro servizio in difesa dello Stato.
Fatto sta che per tutti Enea Paride Achilli era semplicemente
Pelide.
«Tommaso Mari, sono il commissario Fenisi» urlò
questultimo.
«E a me che cazzo me ne frega?»
Nella sua ottica non faceva una grinza.
«Non fare stupidate, dai. Vieni giù che ne parliamo.
Ti posso aiutare.»
«Non me ne frega un beato cazzo di parlare con te! Mettiti
quel maledetto megafono su per il culo!»
Un vero filosofo.
Poi riprese a urlare: «Ora sono famoso, ci sono le telecamere
e sono famoso! Mia moglie e mio figlio mi stanno guardando?»
Fenisi fissò Esposito alla sua destra e disse con tono
sconsolato: «Questo è matto da legare.»
«Magari è solo un po esaurito» rispose
lispettore capo.
«Allora, mi stanno guardando?»
«Può essere quello che vuole, fatto sta che oggi
non voglio rotture.»
Il commissario esitò un momento, guardò la ressa
che andava via via ingrossandosi, poi riprese: «Dovè
Brambilla? Con questi stronzi è più bravo lui di
me».
«Oggi è di riposo.»
«Ehi, tu col megafono! Mi stanno guardando sì o
no?»
Fenisi guardò in alto, borbottando qualcosa.
«Oggi era di riposo, caro il mio ispettore capo. Tiralo
giù dal letto che è unemergenza. Lo voglio
qui tra un quarto dora. Non un minuto di più.»
(Notizie tratte da Facebook, gruppo "Capitale
Mortale" di Alessandro Bongiorni) |