24 ottobre 1954

Il battesimo di Walfro Coi...
a Costalta di Cadore

Abbiate pazienza e lasciatevi condurre per mano, fiduciosamente: arriveremo insieme a un nido d'aquile abitato da colombe caste putibonde, un paese le cui vie riescono a stroncare anche un alpino, tanto son ripide e sassose.
Il treno che vi porta a Pieve di Cadore lo rimpiangerete malgrado la sua lentezza, il fumo nelle gallerie innumeri, le fermate ad ogni pie' sospinto, non appena salirete nella vecchia bassa corriera (uomini alti oltre il metro e settanta, pregate di trovare posto a sedere, altrimenti ingobbirete e vi direte tanto, tanto sfortunati) la quale si lancerà a corsa pazza lungo la tormentatissima statale che risale il Piave sino alle sue sorgenti.
Poco dopo S. Stefano - lo conoscete, nevvero?- là, nell'alto Cadore, pulito, ridente, con una chiesa che è un capolavoro dell'architettura austriaca e un consiglio comunale dritto come un fusto d'abete - la corriera vi sballotterà ancora per... qualche curva a gomito e controgomito e arriverete col mal di mare a... Mare. Sì, Mare: quattro casette nuove nuove a far gli sberleffi alla strada e, attorno, monti altissimi che titillano il cielo.
Fatevi coraggio, che siamo quasi arrivati. Gli è che necessita affidarsi volonterosamente al cavallo di S. Francesco per superare un dislivello di quattrocento metri in poco meno di tre chilometri. Eh, mica male! Respirate a fondo, tante tante volte, e poi - per dirla alla francese - voilà Costalta, là, a portata di mano, o di naso, per un pezzo, un gran pezzo, sempre più vicina, vicinissima, quasi presente. E, finalmente, ecco che si può toccarla.
Caspita, che sudata!... Grazie, amici, per la fiducia dimostratami. Ora ci riposeremo; guarderemo con somma soddisfazione la valle, le erode grigie e rosa, il cielo di cristallo, i verdissimi pascoli, i mucchi di fieno odoroso. Ci concilieremo con la vita sorridendo alla natura e ringrazieremo i nostri genitori per averci messi al mondo.
Il mio amico Oscar, però, non la pensò così nemmeno per un attimo. Lui, veneziano spaccato, quando è in montagna sembra ce l'abbia nello stomaco da digerire e l'affronta a passo di carica, sale e scende per i sentieri saltando come un camoscio inseguito, sfida a gran voce gli allogeni che incontra a compiere lunghe marce estenuanti sin sulle più alte vette perché lui si sente più forte di loro, salta su e giù, non sta fermo un attimo che sia uno, si vanta di continuo che a lui le gambe non fanno mai male. Insomma, la fa da super-montanaro.
Ed io dietro, ansimante e testardo; io, che sono di origine montanara... Poi, un bel momento, gli dissi che io, a Costalta, ero andato per fare le fotografie al suo maschietto il quale doveva essere battezzato, e non per spaccarmi le ossa e subirne delle conseguenze non tanto facili a sopportare considerando che la domenica la
considero giornata di vero assoluto riposo.
Lui ci rimase male, mi considerò un traditore, e continuò le sue galoppate sinché lo vidi smagrito in viso che levati: due occhi fondi e grandi così, le guance incavate. Ma le sue lunghe gambe continuavano a far chilometri a saliscendi.
Battezzato il marmocchio - grasso di quasi cinque chili alla nascita - c'era da organizzare il festino dopo la colazione. Perciò mi sentii obbligato a seguire l'amico Oscar per andare a rastrellare i paesani che tardavano a farsi vedere.
Cammina e cammina, sali e scendi, cammina ancora (cribbio, come sono vere le favolette!), riuscimmo a racimolare sì e no una mezza dozzina di invitati. Chissà come e perché, tutto il paese era deserto.
Oscar - il disappunto a fargli il solletico alle labbra - si invelenì, brontolò sino a darmi la nausea, mandò i disertori a farsi benedire; poi, dopo avermene chiesto un parere, ci infilammo in una colonia di ragazzette del rovigotto. Ossequiammo la direttrice - istupidita ed incredula alla nostra proposta - e la costringemmo a preparare alla svelta la trentina delle sue fanciulle per far onore al rinfresco cui stava mancando l'apporto degli allogeni.
Quando tornammo sulla via, ci parve di essere due galli cedroni con la loro obbediente pletora di gallinelle. Ci seguivano a distanza, piene di sussurrìi e di risatine a stento represse. Qualche gesto esuberante tradiva la loro timida allegrezza.
Cento metri avanti la casa del mio amico, ci venne incontro sua madre un po' preoccupata per il nostro ritardo. Poi, quando seppe che la squadra a ranghi serrati di cui eravamo la staffetta doveva partecipare al festino, impallidì. Donna di spirito e d'ampie vedute, si riprese subito e andò incontro alle fanciulle per fare gli onori di casa.
L'invasione fu pacifica, allegra, piena di trilli; e i dolciumi destinati allo sterminio finirono in un battibaleno la loro dolce esistenza nelle ridenti sane bocche delle eccezionali invitate.
In un'altra stanza erano gli invitati ufficiali - meno della metà prevista - che parvero smarrirsi in tanta allegria.
Walfro, il marmocchio, disteso tra le morbide braccia di mamma Wilma, non fece neanche... bah! Poi, ad una soavissima ninnananna intonata dalle ragazzette, si addormentò beatamente più che mai felice di essere al mondo.
Sergio Maria Franchi


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