L'incendio del 5 luglio
1930
Memorie di Giovanni De Bettin Linc - Dvane Linc
(1882 - 1971)
sacrestano di Costalta
Questa testimonianza è stata trovata su
un quaderno scritto da Dvane Linc di suo pugno e riportata esattamente,
senza alcuna correzione o aggiunta, al fine di conservare intatta
la sua forza emotiva.
È un ricordo individuale, che può però interessare
tutti, perché rievoca un evento terribile per molte persone
del paese.
Vicende personali di questo tipo sono infatti comuni a tanti
che, negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, hanno dovuto
sopportare patimenti e sofferenze oggi difficilmente comprensibili.
Le parole di mio nonno possono quindi aiutare a ricordare quanti,
tra le restrizioni e la tragedia di due guerre, hanno saputo
farsi forza e guardare con speranza agli anni futuri, ponendo
quindi le basi di un benessere che oggi spesso sembra scontato.
Lo stile goffamente ampolloso, che ricalca tanta retorica di
quegli anni, suona ai nostri orecchi come beffardo, come una
denuncia di quella cultura che ha contribuito in buona parte
a creare un tale mare di sofferenza.
Mentre il "popolo" era costretto a subire privazioni
di tutti i tipi, altri parlavano di "guerra di redenzione",
di "gloriosi caduti per la patria", di "conquistare
un posto al sole", dicendo che "chi per la patria
muor vissuto è assai!" con la complicità
di un sistema scolastico e di un ministero della propaganda che
queste idee le radicava nelle menti delle persone.
(Note introduttive redatte dal nipote di Dvane Linc, Samuele
De Bettin, che, gentilmente, ci ha fornito l'interessante documento)
"5 luglio 1930 - ore 14.00 scoccate.
Mentre quasi tutta la popolazione di questo paese, denominato
Costalta, del comune di San Pietro di Cadore, stava tranquilla,
intenta alla raccolta del foraggio, sotto un cielo maestoso,
macchiato da una nera nuvola che, in forma di stragrande aquila
imperiale posava le ali sulle vette dei monti limitrofi - San
Daniele e Longerini - un fischio seccante partì da Colle
di San Pietro, poi un altro e suppergiù le grida.
Tante cose strane si presentavano alla mia mente e mi interrogai,
"cos'è"? Corsi sulla costa denominata Longere
e oh spettacolo
! Una immensa colonna di fumo si ergeva
verso il cielo in forma spaventevole! In un istante si profilò
alla mia povera mente mille guai
! Sarà quale casa
di quel gruppo che ivi non potevo distinguere. La mia non potrà
essere perché i miei figli, a brevi distacchi, avevano
depositato, pochi minuti prima, tre carichi di fieno ed avevano
appena preso il secondo carico sulle spalle, per tornarvi ancora
a depositare. Comunque sia mi diedi a corsa pazza inciampandomi
ad un certo punto che di scatto ripresi la via senza pensare
ad un'ammaccatura fatta al ginocchio destro e ad una abrasione
al polso della mano sinistra.
Terrorizzante aspetto! Quando al cantone della casa del maestro
De Bernardin mi si parò avanti i miei occhi la scena straziante!
E' la mia casa un grande rogo! Mi turbò la mente in un
baleno, di quel povero e caro figlio Luigi, infelice, impotente
a camminare, che solea passare il tempo cantando ove la vampa
aveva inesorabilmente invaso tutto! Dove Sarà!? Tra le
fiamme!!! E gli altri due, Rosa e Giovanni - di anni nove e di
anni sette - che erano in casa? Correndo ancora senza saperlo,
arrivai gridando agli astanti che erano accorsi, miei vicini
e compaesani
"Ed i miei figli?" sono a salvo,
risposero, Gige pure è stato preso lassù sul ballatoio,
da De Villa Antonio di Felice (Gotter) e De Villa Pietro di Pietro
Gotter e, trasportato ad Olimpia De Bettin D'Andrea, lo deposero
in località Prade. Gli altri due pure sono a salvo! La
mia mente si rasserenò, il cuore palpitò, feci
alcuni passi sorretto da GioBatta Fuga di Osvaldo e da altra
persona di cui oggi non lo so e giunto alla prossimità
della fontana di Chiapetin caddi su me stesso, perché
le gambe non mi ressero, la mente offuscata ancora da tanto disastro.
Contribuì al cuore tanta amarezza, tanto dolore, Svenni!
Rialzato, aiutato ancora, camminai per ricadere sulla strada
sotto il cimitero, alla distanza di circa cento metri dalla casa
dei fratelli De Marco Nardotin. Rimesso in piedi camminai ancora
fino alla casa Osvaldo Casanova ove ebbi tanta buona accoglienza
che mi rimase sempre di viva gratitudine e riconoscenza il tanto
bene fattomi in quei terribili momenti. Resta inutile descrivere
quali terribili momenti, quale dolore sentire quel via vai di
persone passare, gridare! Quelle squadre che venivano a prestare
l'opera dai paesi limitrofi con attrezzi vari. Poi quanti pompieri,
con pompe ed autopompe, autorità e persone distinte, partite
pure lontane. L'aviatore Maddalena, partito da Santo Stefano,
il prefetto di Belluno, il questore di Belluno, l'autorità
comunale, il podestà Zampol Angelo, il Reverendo parroco
di San Pietro Don Valentino Bernardi ecc. Così mi riferirono
i presenti che erano in mia compagnia, mentre queste cose sfioravano
il mio cervello e la mia preoccupazione era ferma là,
nel giusto punto, di dover vedere tanto popolo senza tetto e
l'incendio iniziato alla mia casa
! Brava gente, dicevo
fra me, però non ho colpa, non posso dire le cause dell'incendio,
sono una povera vittima, un disgraziato, ma il popolo maledirà,
imprecherà al mio nome, dicendomi trascurato ecc. Mi sentivo
forte su ciò, sapendomi pur io colpito, ma il dolore altrui
mi colpiva da ridurmi proprio all'agitazione.
Miracolo! Si può gridarlo! Alle ore 16.00 circa una pioggia
torrenziale si sprigiona da un'immensa nuvola presentata sopra
Costalta, la quale coadiuvò con immenso vantaggio l'opera
di spegnimento, mentre tutt'intorno splendeva il sole, mandando
un caldo insopportabile. Persone che arrivavano in sulla sera
da luoghi remoti stupivano del disastro ed inoltre ancora vedere
le strade e le campagne nell'interno dell'abitato bagnate a tutto
punto. Sant'Anna benedetta patrona della frazione di Costalta,
invocata, implorata da tante anime disperate, preoccupate, addolorate
in tale terribile momento saranno state esaudite e questa pioggia
provvidenziale cadde più che mai benefica per il caro
popolo di Costalta che attendeva dal cielo un aiuto affinché
le loro case fossero salve dall'elemento terribile distruttore.
Sia lodato Iddio onnipotente, la sua celeste Madre Maria Santissima,
Sant'Anna madre ancora di Maria nostra Madre, che preservò
da tanta disgrazia l'intero paese mettendo argine al distruttore
fuoco, il quale dovette accontentarsi di rimanere vincitore solo
del gruppo alla destra del ruscello Modena (così detto
Rin Modna).
Rimasero quindi sul lastrico otto famiglie, trentasei persone,
delle quali due sole erano assicurate, cioè la mia e quella
di mio cugino Liberale De Bettin fu Valentino, alle quali il
premio è stato irrisorio tenendo presente l'intera distruzione
di sette locali, stalla, fienile, attrezzi, vestiari, documenti,
denari (L. 270), foraggio, tutto, ogni cosa. Firmai a tacitazione
all'agente delle Assicurazione Generali per L. 8.700, versando
L. 400 di tassa al governo e 200 al tecnico ministeriale, mi
rimanette L. 8.100. Senza nulla, solo indosso i pantaloni e scarpetti
e camicia, così figli e figlie (famiglia composta di sette
persone). Compiansi ancora tanto le altre ventinove persone che
subirono la sorte medesima. Là il mio cuore sofferse molto
e molto più. Se la mia casa fosse stata distrutta sola,
doloroso, fabbricata di nuovo l'anno 1891 ed ultimata il 1906,
tanto comoda, ma lieve mi sarebbe stato il dolore se le vicine
alla mia si fossero salvate, se la gente non avesse sofferto
il danno delle loro! Coraggio e rassegnazione. Come sempre passai
in pensieri precedenti di disgrazie forse più acute ancora.
La perdita della moglie di anni 38, il 31 dicembre 1926, ore
9, lasciandomi solo dopo tre giorni di malattia attorniato da
sei figli divisi in due sessi, la più vecchia di anni
sedici, il più giovane di anni tre, compreso un ragazzo
di anni quindici (e non ancora) disgraziato infelice, perché
colpito all'infanzia da paralisi ai cordoni posteriori al livello
della spina dorsale, impossibilitato a camminare, poi effetto
a crisi nervosa. Morte del padre da località Piatois al
ritorno dal mercato cosiddetto di San Michele, località
Lacuna di San Niccolò Comelico il 29 settembre 1924. alle
ore 15 fu trasportato a casa e morì alle ore 18. Lo trovai
cadavere al ritorno dal lavoro di bosco.
Madre vista nel doloroso giorno 6 novembre nella ritirata nella
strada di Domegge, profuga con mio padre, moglie e quattro bambini.
Al mio ritorno di prigionia seppi che era morta di inedia e patimenti
il 26 ottobre 1918". |