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Scappa. Scappi.
Dietro quel tronco, aggrappato col fiato alla corteccia e alle sue fessure profonde,
poi un passaggio carponi come una bestia braccata fra cespugli rovesciati da ondate
di piovaschi, e il canalone con anfratti sassosi per teste appuntite di rettili
o fiori dai petali irrigiditi.
Di corsa attraverso una radura di falsa quiete, erba di trifoglio e tracce di
cerbiatti, ma sono bossoli di cacciatori come quelli che ti ansimano dietro.
Allora fuori, sull'asfalto, lungo una direzione a pennellate bianche che segnano
curve e tornanti, e torni infatti, o forse vai avanti, non puoi saperlo prima
di aver trovato l'inizio della pista.
Il primo muro, e loro sono dietro, i passi ancora nell'ultimo fango di sottobosco,
ma presto calcheranno cemento e risuoneranno più vicini… il primo
muro è tuo, dietro lo spigolo smozzicato di nuovo appendi con le mani la
tua vita a crepe e falde di intonaco che cedono, ti scopri , sei fuori, sei sotto
tiro.
Allora via, correre, il tutto per tutto, e correre all'aperto oramai, in mezzo
alle case dalle imposte che si chiudono spietate al tuo passaggio, occhi che si
girano per non vedere la tua fuga, orecchie
che si riempiono di rumori a coprire i tuoi ansiti.
Lì c'è gente, la piazza i tavolini la gente.
Lì ti nasconderai fra quelli come te, sembrerai uno di loro, ti basterà
un bicchiere di qualcosa di colorato in mano e un'aria ottusa dietro uno sguardo
insignificante.
Allora siediti, accetta quell'invito, è la scappatoia.
Parla con qualcuno, digli mi stanno inseguendo, non ti risponderà, fingerà
di non capire, ma li ha già seminati.
Avrà in mano un bicchiere anche lui.
Siediti, aspetta.
Arrenditi, e bevi mentre il respiro rallenta.
Forse non ti prenderanno.
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Ragnatele
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