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Ci son quelle giornate che pare non sappiano appoggiarsi a niente, stanno su a
caso contro le pareti, e anche quelle - poco solide - si incurvano
come sfasci verso giù, verso il sotto, dove ci sarà magari una cantina
per accatastare gli errori di calcolo.
Che ti alzi con uno strappo pur di non restare solo a leccarti il vischio dell'inerzia,
ma già in ansia per i delitti che inevitabilmente commetterai. E'
già stabilito che abbatterai idoli per indifferenza, che ucciderai tuo
padre e tua madre ma per disgusto di te. E che ti toccherà perdonarti perché
non ce la fai, non ce la fai proprio, ad abdicare.
Giornate che lo specchio ti rimbalza la vecchiaia che hai in faccia e non l'avevi
prevista, a metà di una corsa ottusa e accecata dagli steccati dell'ovvio;
che ci vorrebbe una riga di inchiostro per spuntare le date mancate, o magari
un secchio di vernice a colori per rinominare i ricordi scaduti.
Dal tetto, altri tetti di tegole mute, terrazze deserte, le strade di ardesia;
un graffio sottile taglia il cielo verso ovest, dove un aereo traccia un desiderio
indistinto che poi precipita piano verso l'orizzonte senza far rumore.
Né voci né presenze fra queste quinte di cartapesta, né suggeritore
né ruoli, ma solo un canovaccio imbrattato di vino e caffè per far
passare - e non senza sforzo - le ore e il raccolto di un'anonima
vita.
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Ragnatele
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