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C'è un punto esatto dove mi succede sempre la stessa cosa, e dio
solo sa perché.
Cioè, lo so anch'io ma devo averlo rimosso anni fa.
E' la corsia dei detersivi al supermercato.
Prima di arrivare a metà sono già completamente dentro una crisi
di panico.
E non c'è niente da fare, devo attraversarla. Cristo, devo fare la
spesa, devo fermarmi a scegliere, devo ragionare, confrontare, tenere in mano
la situazione. E siccome devo, lo faccio. E siccome lo so che di panico non si
muore ma sembra, lo faccio. E siccome al panico l'ho giurata, lo faccio.
Pensare come sono rassicuranti tutti quei flaconi, belli perfino, e ognuno farà
qualcosa per me, per la mia casa, le tende i pavimenti i vetri il bucato morbido,
quelle cose lì così importanti. Certi hanno anche un profumo interessante,
se riesco a resistere ne annuso qualcuno. Mi piace il limone, per esempio. Ecco,
mi soffermo sugli odori, e anche sui colori.
Nel frattempo, chissà che passi una signora che ci vede poco e che mi chieda
di leggerle i prezzi, così un po' del mio panico si diluisce in qualche
frase stupida.
Se poi è di quelle anziane che hanno piacere di parlare con qualcuno perché
magari a casa sono sole, ancora meglio. Arrivo a scambiare qualche gentile osservazione
sul niente, o sul poco, di cui sono fatte le nostre vite parallele. Ci guardiamo
in faccia e ci leggiamo dentro certe cose molto simili. Certe fatiche, molto simili,
e accettate.
Le leggo i segreti anche dentro il carrello: le cose che compra mi raccontano
cosa fa fuori di qui. Come mangia, come si occupa di se stessa. Mentre finisco
di percorrere quella maledetta corsia mi è quasi venuta la voglia di accompagnarla
a casa, aiutarla a riporre le sue cose, prendere il suo caffè, ascoltare
tutto il resto.
Il panico ti fa così, che a volte cerchi di uscirne entrando in qualcun
altro, una persona più semplice di te, più rassegnata. E non è
questione di avere un'espressione mite: anche il mio aspetto è inoffensivo,
la mia è una faccia di cui ci si fida.
Sono io che non mi fido di me.
Oggi ha comprato latte biscotti caffè di sottomarca un pezzo di gallina
una retina di arance. Sta cercando la varechina e gliela trovo io. E' di
quelle che ancora lavano con la varechina. Devo proprio farmi invitare su da lei
e assaggiare quel suo caffè lungo, tiepido e probabilmente cattivo, perché
sento che è una brava persona. Di quelle che non ti fanno l'analisi
guardandoti nel carrello.
Le porterò la spesa di sopra, scale senza ascensore, e mi dirà di
lavarmi le mani in un bagno piccolissimo tutto in ordine, e intanto metterà
su la moka e tirerà fuori due tazzine buone, e poi mi farà sedere
in cucina e sul tavolo ci sarà un centrino rotondo, e una vecchia foto
sopra il televisore.
Mi parlerà dei suoi figli sposati e del marito al camposanto.
Avrà un gatto che dopo averci pensato su un po' mi verrà in
grembo e socchiuderà gli occhi obliqui perché io non ci guardi dentro.
A mezzogiorno tornerò a cercare dove ho lasciato la macchina, i surgelati
si saranno sciolti e il panico anche.
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Ragnatele
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