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Emily C. |
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"Guarda che se vuoi resto". Dopo aver preso il tè non aveva ancora finito di parlare. Le cose andavano male. Era venuta via da casa apposta per stare meglio invece stava peggio. C'erano state discussioni muro contro muro. L'aveva pagata tutta, la colpa della sua determinazione. "Quando ti vedo così non riesco a lasciarti sola". Sola. Quanto lo aveva desiderato. Era proprio nata con quel desiderio. C'erano sempre state molte altre vite intorno a lei, tutti quei rumori di respiri e di pensieri che la soffocavano. Anche rumori di responsabilità, di regole, di convenienza. Orari e programmi obbligati. Non-essere per forza. Essere ugualmente. Primo comandamento. "Ci guardiamo un film in tivù, magari ti passa". E dormire nella stessa stanza coi fratelli, e i vestiti uguali. Da piccola aveva inventato una storia, che era stata adottata, che lei non era veramente di quella famiglia, e l'aveva raccontata a una compagna di scuola. L'avevano sgridata tutti, anche la maestra, il pediatra, il prete. Perfino la nonna buona l'aveva rimproverata, e aveva una faccia diversa quel giorno. "Ma ti rendi conto? - le avevano urlato in faccia. Sì, si rendeva conto. Era solo una storia che le piaceva raccontarsi. "Ma ti rendi conto...- la nonna, grave. " Finché non ti vedo metterti a letto non vado via tranquillo". Ancora gente che le si infilava nella vita, gliela deformava a caso. C'erano sempre delle cose, e anche quelle facevano troppo rumore. Come un continuo acciottolìo di piatti, come un chiacchiericcio sterile, indesiderabili nel suo silenzio. Passi. Domande. Anche certi sorrisi erano assordanti. Li attraversava con le mani a tappare le orecchie, ma entravano lo stesso dagli occhi, dalla pelle. " Le hai quelle gocce per dormire, casomai?" Volevano ogni giorno qualcosa. Era come pagare una tassa per avere il diritto di restare dove non voleva restare. E lei faceva, lei pagava. Tutto per bene, purché la lasciassero in pace, e prima o poi la lasciassero anche andar via. Obbligarsi a crescere, a essere la prima della classe. La prima. Ad arrivare prima. " No anzi, dai, mi fermo e basta, tutta la notte. Che dici, va meglio così?" Una mente tutta per sé. La mente è mia e me la gestisco io. Loro la ossessionavano e lei ossessionava se stessa. Non bastava chiudersi una porta dietro le spalle o dormire dentro un farmaco. C'era sempre quell'attesa di cominciare qualcosa, cominciarla da zero e dandole un nome. Una persona difficile. Cercare di continuo un rimedio. Credere di trovarlo da qualche altra parte, poco convinta che esistesse davvero. " Poi scusa se ci torno su, ma penso che avresti bisogno di svagarti di più, frequentare gente..." Poi. Poi lui. Una cosa importante? Ma neanche lui aveva capito. Lui che c'era sempre, facile da trovare. Come aveva fatto, si chiedeva. Eppure le era sembrato che. Invece no. Dieci anni per riuscire a dirglielo, che quella cosa non era affatto importante, che era un altro dei rimedi inefficaci. Inguaribile. Aveva solo preso il posto di ciò che lei aveva lasciato indietro, e così nulla era cambiato. L'arredamento, era cambiato. Ma c'era sempre troppo poco spazio, troppo poca aria. Lasciami stare da sola per favore, ho già un problema, e sono io. Non sono capace di dividerlo, neanche con te. Sono una solitaria. Sono difficile da capire. Accetto che non mi capiscano gli altri, e soprattutto accetto di non capirmi io. " Una vacanza, qualche giorno fuori città..." Non gli dette il tempo di finire, finì lei. E subito ricominciò. Rientrava ogni tanto da quella porta che non aveva i chiavistelli giusti. Per far compagnia. In nome dei bei tempi. Non importa se non ha funzionato, qualcosa si è salvato lo stesso. Come fargli capire che i bei tempi... ma quali bei tempi, il tempo non comincia e non finisce mai, era quella la sua vera dimensione, irraggiungibile come la stava cercando. E lui non ascoltava. Uno qualunque, in fondo. " Un fine settimana. Si potrebbe fare. Te lo organizzo io, ti porto via. Stiamo insieme in un posto diverso da qui". Qui tornava per fare l'amore anche senza averne diritto. Qui tornava perché lui era arrivato, ma lei no, non ancora. Parole e gesti a confondere le idee che lei voleva solo difendere. Autodifesa. Quello, è un diritto. Abituata a vederlo violato. Lasciatemi stare. Gridava dentro, la disperazione. Sentiva solo lei e non sapeva rispondere. Lasciatemi stare, sto male, sono io il mio male, sono Il Male, abbiate rispetto. Abbiate paura. Sul tavolo quelle tazze e le fettine di
limone. Un cellulare che spiava dappertutto. Nei fondi del tè c'era
scritto ancora lasciatemi stare. " E' venuta giù la nebbia. Se peggiora sarà difficile girare in macchina." " Allora resta. Resta pure qui stanotte. C'è nebbia". C'è nebbia. torna a Ragnatele |