Conto fino a venti, ma ci vuole il suo tempo.
E' un tempo rallentato e incespicante, e in mezzo ci puoi pensare
(uno)
perché l'emergenza si semplifica in necessità, la necessità
di diluisce in abitudine, l'abitudine si impantana nel vizio
(due)
perché tu dormi già nella metà più calda del
mio letto, avvolto nell'attesa di me che veglierò sulle tue certezze
(tre)
perché una pioggia scura picchia forte e testarda sulla profondità
delle strade notturne fuggite dagli ultimi vagabondi
(quattro)
perché un neon senza misura inchioda gli angoli che custodivano dentro
le loro ombre materne i presagi mai compiuti
(cinque)
perché tra quelle cortine di tele di ragno hanno frugato a mani nude
per depredare troppi faticosi segreti, e i loro occhi erano bruciati dall'ingordigia
(sei)
perché la salita era una risata di spregio, la discesa un furto di
eccitazione e la strada in piano cosparsa di inviti e di sì
(sette)
perché tutto non bastava e ne ho aggiunto dell'altro, e poi ancora
ne serviva e ancora ne ho trovato, e di nuovo mi hanno chiesto di più,
e ancora lo sto cercando
(otto)
perché nei miei polmoni stagna un'aria pigra e chiusa di cielo basso,
e nelle vene si smuove appena un rigagnolo di linfa che si biforca attorno a
ciottoli di greto
(nove)
perché due frammenti di un opaco grigio mi chiedono ogni giorno da
una faccia di solchi di allungare quella sagola, come se io sapessi quali nodi
sciogliere, e con quale arma che non sia la spada dei vigliacchi
(dieci)
perché il tempo serpeggia su di me salendo dalle caviglie, strema
le ginocchia, scheggia la schiena, spiana le foreste del cuore e gli ottomila
della mente, eppure mi lascia libera di continuare a resistergli
E ora ho perso il conto, è tardi, è già oggi e non
c'è più bisogno di evocare il sonno di tutte le notti accese,
perché la misura era già colma ancor prima di cominciare a contare,
e dietro la coda dell'ultima pioggia sta sorgendo l'orlo del mondo.
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Ragnatele
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