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Tornando al punto, perdemmo la strada.
Distratti da vetrine di trony e agenzie di viaggio, parlavamo due silenzi diversi,
che avevano in comune solo dei fonemi slegati. Provammo a confonderci il fiato
nei vapori di un caffè che bruciava gli occhi, e ricordo che cercai di
leggere il passato nei fondi di quella tazzina senza fondo. Tenevo stretta sotto
il braccio la borsa per paura che ci guardassi dentro, e di non saperti spiegare.
La brioche rimase poi sul piattino, il primo morso sapeva di carta e mi si fermò
subito al di sopra del cuore.
Ricordo anche il tuo braccio sulle mie spalle lungo la scala mobile, ma non le
tue dita che si infilavano nel colletto del cappotto. Dall'altra parte scendeva
una ragazza con un maglioncino scollato sotto la giacca di pelle, e le fissai
con compatimento quel solco d'ombra profonda che cominciava dove finiva
la zip. Quel giorno stavo raccogliendo mio malgrado flash sulle finzioni, come
quando una commessa soprappeso cercò in basso un portachiavi nuovo per
te e la maglietta le risalì sulla schiena nuda macchiata di nèi.
Una collezione di immagini fastidiose salvate con nome nella mia memoria agli
sgoccioli.
Comprammo cose futili, tu nuove punte da trapano e io un libro che già
avevo ma lo amavo troppo.
Nel parcheggio sotterraneo un nigeriano addossato a un pilastro mi chiese di vendermi
la sua miseria, aveva la forma di un accendino blu con sopra un gatto da cartoons.
Tu tirasti dritto dicendo che certi comportamenti non vanno incoraggiati, proprio
a me che ho una predilezione oscura per le cause perse.
Più tardi, a tavola, io che ti passavo il sale e tu che guardavi la tv.
Più tardi ancora, e io non volevo.
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Ragnatele
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