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Allora, sono Turandot, e sono principessa.
Ci sono nata, mica l'ho deciso. Son cose che non si decidono, queste, altrimenti
sarebbe stato deciso diversamente, sai? Infatti, mio padre il re desiderava un
figlio maschio, un erede come si deve, che ti credi? Tutti i regnanti sperano
in un erede maschio. Ma mia madre morì nel mettermi al mondo, e poi in
seguito mio padre era troppo vecchio per un'altra moglie o per generare ancora,
così lui e il popolo tutto dovettero accontentarsi di una principessa che
sarebbe - ahimè - succeduta al trono.
Per ovviare alla mia evidente inadeguatezza, fui educata secondo criteri severissimi,
atti a forgiare in me una personalità forte e vincente, capace di imporsi
ai sudditi e ai popoli vicini. Un'anima guerriera, uno spirito da dominatrice:
e che caspita, una donna per essere tenuta in considerazione - da queste parti
e di questi tempi - deve comportarsi come e meglio di un uomo, altrimenti finisce
in un harem e non se ne parla più.
Ma qui c'era urgente bisogno di un successore al trono, uno con le palle, perché
il regno è già un regnucolo di suo e ci vuole un bell'impegno per
tenere alto il prestigio nei confronti delle altre tribù. Roba da uomini.
Già, non credere a quello che si dice: Turan è un popolo di pastori
nomadi, analfabeti, rozzi, dei poveracci insomma. Tutto l'oro del regno è
concentrato nel palazzo reale, che deve fare la sua figura per risultare credibile
e incutere rispetto. In realtà, i nostri confini sono esigui e il nostro
esercito è un manipolo di bravacci che si limita a tenere d'occhio la sponda
del fiume dove si abbeverano le nostre mandrie macilente sotto lo sguardo bramoso
dei nostri vicini, un'altra tribù di ladroni e cenciosi più o meno
come la nostra.
Quindi, dicevo, ci vuole un re che tenga alto l'amor di patria e accenda la vanità
e l'orgoglio dei sudditi anche se straccioni (e miopi). Un re, ripeto, perché
non basta una regina quale io sarò; un re, un Uomo, un capo carismatico,
un condottiero, insomma un RE. Un uomo, un uomo accanto a me.
Anche, se non soprattutto, per la discendenza, perché una dinastia senza
discendenza non si è mai vista. Dunque devo sposarmi. Se voglio essere
regina devo sposarmi e prendermi un marito e un re.
A esser sincera, non vorrei né essere regina (ma hai un'idea di quanto
è faticoso e noioso?) né sposarmi, o almeno non solo perché
devo.
Caspita, non credo sia uno dei capricci per i quali vado incomprensibilmente famosa:
forse a qualcuno/a piace sposarsi perché deve? E deve per far piacere ad
altri, chessò ai genitori, che si credono in diritto di scegliere la vita
dei figli, o come nel mio caso al popolo, che aspetta gli avanzi del banchetto
nuziale e una pioggia di monetine di stagno dai balconi del palazzo e magari un'amnistia
per festeggiare il mio matrimonio. Ma uffa, eh.
Comunque, fra le cose che mi hanno inculcato dall'infanzia c'è il senso
del dovere, quello verso appunto il mio popolo e il futuro del regno, quindi forza
Turandot, adesso tocca a te e non si discute. Una regina non indietreggia. Una
regina casomai abbozza, e tira dritto.
Però mio padre giustamente vuole un re coi fiocchi, mica uno qualunque
Mica si lascia un regno (e l'unica figlia) in mano a un pinco pallino né
arte né parte, una ricottina, un mezzo uomo. Ci vuole un duro, uno speciale.
Il Migliore. E ci vuole dunque una selezione altrettanto dura e speciale. La mia
Nutrice ha borbottato che farei bene a portarmi a letto i pretendenti uno dopo
l'altro, ma non sono cose che una principessa possa permettersi: ne va del suo
onore (e magari dell'onore di qualcuno dei suddetti). No, ci vuole una sfida a
quiz. Un quizzone.
Ce li avete anche voi, i quizzoni? E fanno stragi anche da voi, vero?
Perché qui, che vuoi farci, le stragi le fanno davvero, ma devi capire
che sono le usanze del posto e del tempo: chi perde paga, paga con la vita, altrimenti
che sfida sarebbe? Il popolo vuole vedere il sangue, vuole emozioni forti, bisogna
capirlo: sono poveracci affamati e fuori dal mondo, conducono una vita grama,
mai uno svago, mai una novità. Capisci bene che le storie di palazzo sono
l'unico diversivo, e a loro piace che siano a tinte fosche, che li appassionino,
che li coinvolgano e facciano loro dimenticare per un po' la miseria di ogni giorno.
Quando sono soddisfatti, non pensano a ribellarsi, e anche noi del palazzo dormiamo
più tranquilli.
Insomma, sono arrivati dei bei tipi da tutti i paesi circostanti: nobili arroganti
e tronfi, ognuno con la vittoria in tasca. Per me, è stato come ricevere
in casa mia e con l'obbligo delle belle maniere dei veri e propri invasori.
Però che delusione: tre indovinelli - solo tre - e nessuno che li abbia
non dico risolti, ma nemmeno capiti... Eppure sarebbe bastato ragionare, riflettere
un po': ma no, quelli, nessuno escluso, erano talmente sicuri di sé che
la prosopopea gli annebbiava la mente, e uno dopo l'altro li ho visti perdersi
in un bicchier d'acqua.
Una bella preoccupazione, per il futuro di questo mio povero e scalcinato regno.
Che potevo fare? Le regole erano chiare e tutti - irresponsabili! incoscienti!
- le avevano accettate. Alla leggera, direi.
Oh, mica le ho scritte io, quelle regole: c'erano già, da noi qui sono
antiche usanze. Siamo gente fiera, gente dura, dicono che siamo anche un po' barbari,
ma forse col tempo si vedrà che c'è di peggio, in Asia e altrove.
Anche all'ovest.
Così, ecco le teste mozzate sulle mura del palazzo, ed ecco - li senti?
- i sudditi eccitati alla vista del sangue, come se si fossero vendicati di un
torto personale, come se ogni testa caduta fosse un trofeo di guerra.
E io ogni sera me ne tornavo nelle mie stanze sempre più stanca di tutta
quella storia, che mi pareva mi riguardasse sempre meno. Che poi la prospettiva
del matrimonio continuava a non attirarmi affatto: cosa sarebbe cambiato, nella
mia vita, dopo sposata? Ancora più costrizioni, ancora più isolamento.
Da proprietà di un padre a proprietà di un marito, la storia non
sarebbe certo migliorata. Una donna - da queste parte, dalle tue non so - resta
sempre una donna, un passo dietro l'uomo, un gradino sotto. Anche se regina.
Poi ti arriva bel bello questo qui, un principe di quelli tenebrosi e alteri
(sì, anche lui come orgoglio non è niente male) e determinato
come pochi altri (anche perché - va detto - è in esilio e sta
cercando un nuovo regno dopo che è stato scacciato dal suo, ma transeat).
Il bel tipo non si presenta molto bene, a dire il vero, così poco principesco
nel vestire, ma io sono una che punta alla sostanza, mica come i miei sudditi
ignoranti.
E si presenta anche meglio quando, concentrandosi come in fondo nessuno ha ritenuto
di dover fare prima di lui, imbrocca le risposte ai miei indovinellini.
Beh, tanto di cappello: bravo. Ha vinto lui. mi toccherà sottomettermi.
E - caspitaccia - non mi va. Non mi va proprio. Speravo di tirarla più
per le lunghe, io. Ma tant'è, s'ha da fare, questo matrimonio.
A questo punto il moraccione - un vero gentiluomo - nel vedere la mia scarsa
propensione mi propone un escamotage: un altro indovinello, stavolta per me,
per offrirmi la via di fuga. Se vinco la sfida, vinco anche la mia libertà.
E lui , sconfitto, accetterà la sorte dei suoi predecessori.
Un gesto da gran signore, e di estremo coraggio. Ha già la vittoria in
mano (e anche la corona, e me) ma rimette tutto sul tavolo per giocarsi la vita
contro la mia. Uhm, mi sono detta, scaltro e audace, due doti rare e perfette
per un uomo candidato a regnare qui da noi.
Devo ammettere che l'ho subito guardato con altri occhi: che fosse lui, l'uomo
giusto, il migliore davvero, quello all'altezza della situazione? E' inutile,
quel gesto imprevisto e così estremo mi ha emozionata, e da quel momento
ho capito che mi stavo invaghendo proprio di lui. Ma guai a farglielo capire:
non era il caso che mi consegnassi così facilmente nelle sue mani, in
fondo era uno sconosciuto e io potevo benissimo essermi presa un'infatuazione
balorda, che mi avrebbe in futuro procurato chissà quanti pianti e recriminazioni.
Così ho fatto di tutto (perfino barato) per vincere il nostro duello,
e del resto anche questo è stato un modo per metterlo alla prova, perché
comunque non ho mai dimenticato quale fosse lo scopo di tutto quel penoso ambaradàn:
scovare tra i molti pretendenti quello veramente adatto alla bisogna, quello
che avrebbe soddisfatto anche le esose pretese di mio padre e del popolo.
Come sia andata a finire, non lo dice Puccini (che nel frattempo era morto per
motivi tutti suoi) ma tu lo sai bene lo stesso: abbiamo fatto a gara per vedere
chi perdeva prima. Sì, letteralmente. Lui perché ha un suo onore
e ci tiene, io perché - scoccia un po' confessarlo - mi ero presa una
cotta tremenda. Era anche carino, sapessi. E io comincio ad avere l'età
giusta per un uomo tutto mio.
Ecco, così è andata.
Adesso devo prepararmi per la cerimonia: abiti fastosi e tutti i gioielli della
corona.
Lui è andato a farsi lavare (ne aveva bisogno) e le mie schiave che lo
stanno accudendo le sento squittire fino a qui (buon segno, via).
Tra poche ore saremo marito e moglie: in dote gli porto un regno, che lui non
ha più, e lui in cambio prenderà in mano le redini di questa tribù
squinternata e megalomane. Difenderà le mandrie lungo il fiume e terrà
lontani i predoni, mentre io farò parlare di lui ai quattro angoli del
mondo conosciuto per la mia bellezza da lui conquistata con tanto coraggio.
Vien da pensare che forse, se non mi fossi presentata così irraggiungibile,
così cinta di gel, manco mi si sarebbe filato, ma ormai è andata:
ha ottenuto la sua preda e la gloria che ne consegue, e io in fondo potevo finire
peggio, anche se comunque so già che presto o tardi lui avrà delle
concubine più giovani e belle di me, che nei prossimi anni sarò
occupata a fare figli per il regno.
Spero di averne tanti, di figli, per assicurare, come è mio dovere,
una discendenza sana e vitale.
Spero perciò che almeno uno di loro sia maschio, altrimenti quello è
capace di ripudiarmi, perché così si usa, quaggiù.
Spero però anche di avere una femmina, almeno una, e la farò crescere
come vuole lei, come si sente di essere: come una donna, e basta.
A costo di litigare (e di brutto, se occorrerà)
col mio Signore e Padrone Calaf, per grazia degli dei - e MIA
- re di Turan.
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