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Sovrapposizioni

P.Picasso - Ragazzo con cane, 1905

Non ancora vecchio ma abbastanza anziano, il primo problema pratico che gli si presentò tornando a casa fu come occuparsi del cane.
All'ospedale era venuto a prenderlo un conoscente col taxi, giusto per aiutarlo con la borsa e fargli compagnia, ma non era disponibile a molto altro. La signora del piano di sotto gli faceva un po' di spesa e gli portava su la posta, ma non aveva tempo anche per il cane. E Yuri doveva correre ogni giorno, e lui lo sapeva.
Il problema non era il primo problema da adesso, era il primo fin dal giorno in cui lo aveva preso con sé, ben consapevole delle difficoltà a venire. Non avrebbe dovuto legare le loro vite, entrambe solitarie ed esigenti, tenendo conto dell'età e dei prevedibili imprevisti. Era andata fin troppo bene, quelli della pensione erano venuti a prenderlo il giorno stesso dell'incidente e oggi glielo avrebbero riportato, in ottime condizioni assicuravano. Ma dopo dieci giorni di canile ora aveva bisogno di rinfrancarsi tra gli odori di casa sua e soprattutto di ricominciare le lunghe passeggiate quotidiane. Lo guardava in angustie, chiedendosi chi avrebbe fatto questo per lui, per loro.
Un'inserzione sulle pagine gialle gli indicò un servizio di dog-sitter, e lui telefonò subito, appoggiato allo stipite sulla gamba sana e col cuore pesante per l'incertezza. Yuri sdraiato nell'ingresso col muso allungato in attesa sul pavimento seguiva ogni sua mossa con occhi tristi.
Arrivò puntuale alle due un ragazzo magro e svelto, che sapeva come regolarsi.
"Quanto tempo vuole che glielo tenga fuori?"
Il più possibile, pensò.
"Un'ora… ? O è troppo?"
"Si figuri, i pastori tedeschi hanno bisogno di molto moto. Ne ho uno anch'io. Se si fida di me glielo tengo fuori finché lo vedo stufo".

Veniva ogni giorno. La gamba era un pezzo di legno, la sera pulsava tutta e non lo lasciava dormire. Il ragazzo veniva ogni giorno, anche la mattina se poteva, e Yuri usciva con lui. Quando restava solo, riusciva a dormire un po' sulla poltrona col piede sollevato sul tavolino e il giornale in grembo. Ascoltava musica, contava i giorni senza dar loro alcuna fretta. Yuri pareva soddisfatto, tornava a casa finendo di ansimare l'ultima corsa e dopo aver bevuto molta acqua lo raggiungeva, sazio, in salotto e accanto a lui dormicchiava i suoi ricordi più recenti.
Un pomeriggio che venne improvviso un acquazzone e rientrarono prima, fradici entrambi, preparò del thè mentre il ragazzo strofinava il cane con un vecchio asciugamano. Seduti di fronte, lui lo guardò immergere il viso nella tazza un po' troppo grande, e l'attaccatura dei capelli su quella fronte gli fece nascere il bisogno di una domanda.
"Ma tu sei Alberto quello della quinta B?"
Il ragazzo alzò gli occhi stupito e posò la tazza.
"No, sono Alberto ma non so niente della quinta B".
"Ecco perché mi sembrava... avevo un Alberto in una quinta, mi pare. Sì, mi pareva che potessi essere tu".
"Si vede che gli assomiglio. Lei insegna?"
"Insegnavo".
Allora non era della quinta B, forse di un'altra classe. Glielo avrebbe chiesto al prossimo temporale.

Invece la volta dopo gli fece un'altra domanda:
"Ma tu abiti dalle parti di San Nicolò? No, aspetta, dalle parti del Conservatorio?"
Neanche quello, era. Stava in periferia, dietro la stazione; si spostava in scooter, non aveva frequentato il liceo, non studiava musica. Era obiettore di coscienza. Gli raccontò poche cose di sé, e superficiali.
Era Alberto, ma un altro.

Yuri non aveva voglia di uscire, gli era bastato il lungo giro della mattina e l'ubriacatura di papaveri e soffioni lungo l'argine. Cominciava a far caldo, e la gamba era ancora rigida ma adesso un bastone aveva sostituito le due stampelle. Alberto riportò il cane a casa dopo mezz'ora e rimase a guardarlo pensieroso mentre si sdraiava sul terrazzino all'ombra per leccarsi a lungo le zampe.
"Però sta bene, sa, solo che per oggi gli basta così" lo rassicurò.
"Senti ma a te non pare che ci siamo già conosciuti? Da qualche parte, se non a scuola?"
Il ragazzo strinse le spalle e fece una smorfia con le labbra. A lui non sembrava, no. E aveva buona memoria.
Eppure io mi ricordo di te, pensò, sentendosi più vecchio del giorno prima.
Forse ho conosciuto tua madre, o tuo padre. Forse ti ho visto giocare in un cortile col tuo cane ancora cucciolo. Mi ricordo, ma non mi ricordo.
Guardava le immagini passare alla tv ma non ne seguiva il senso, continuava ad allinearne altre nella mente ripescandole da tutta una vita e sforzandosi di metterle a fuoco, datarle, rinominarle.
Era il ragazzino che si scontrava con lui tutte le mattine all'edicola prima di entrare a scuola? Comprava figurine e scappava di corsa verso lo sportello aperto di un'auto che lo aspettava, e a volte ne perdeva qualcuna e la raccoglieva con uno scatto veloce.
Era il garzone che gli tirava giù le bottiglie di pomodoro dall'ultimo scaffale, lungo e in camice arancione, premuroso ma assente, con un cartellino sul petto e una piccola foto e un nome... forse anche quello Alberto?
Poteva essere uno dei barellieri dell'ambulanza il mese prima.
O un figlio venuto a visitare il padre ricoverato nel suo stesso reparto.
Gli pareva di riconoscerlo in molte caselle della memoria, con quella faccia e quel nome. Quella faccia pulita, che gli era piaciuta subito.

 

A fine estate, rientrando a casa lo fermò la vicina.
"Si è rimesso bene, eh?"
"A quanto pare. Per lo meno cammino senza stancarmi".
"E poi Yuri qui è così buono, lo sa vero? lo sa, che non deve tirare troppo..."
Lo carezzava sul testone, un gesto di dovuta cortesia che lo infastidiva leggermente.
"Per fortuna, va' là, che tutto è andato bene. E quel giovanotto che lo portava a spasso, era bravo eh? Una pazienza..."
"Sì. Sì, ci sapeva fare con i cani. Era un bravo ragazzo".

Un gran bravo ragazzo. Aveva sostituito la sua vecchia gamba e preso in custodia la libertà del suo cane. Per un po'.
Chissà chi era, e chissà, chissà come si chiamava.


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