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Single

V.Van Gogh - Camera da letto, 1888

Si alza molto presto, appena sveglio. I primi movimenti, sempre uguali e a tempo, col sottofondo di una musica talmente in sordina che la radio ne emette solo echi flebili di violini. L'interruttore della luce in bagno fa un clic sonoro in quel silenzio. Lo specchio abbaglia quel viso da raspare come la lampada di un dentista, e non è bello. E quegli asciugamani ingrigiti e ancora umidi, squallidi come il ricordo della doccia avara di ogni sera, con quella pioggetta incerta che non lava non sciacqua non quieta.
L'orchestra che stride sottovoce ora è sepolta sotto il chioccolio del caffè che spruzza tutt'intorno dalla moca annerita. Il cucchiaino si scontra stupidamente contro l'orlo della tazzina, il vapore subitaneamente acceca gli occhiali.
La finestra luccica contro il buio pesto delle sei di mattina, mattina di città, periferia ma città. Peggio.
Il tappetino davanti al secchiaio è appallottolato come la cuccia di un cane.
Si ficca delle cose nelle tasche, a caso, prendendole come manciate di sassi dalla mensola sopra il termosifone. Si infila scarpe già allacciate, le punte opache di fanghiglia metropolitana.
Le tapparelle sono incastrate da mesi, né su né giù. Lascia perdere, il falegname ha la segreteria telefonica, non risponde mai.
Si tira dietro la porta, un giro di chiave che fa vibrare l'aria ferma della tromba delle scale.
Ascensore a grata, cigola. La gente comincia solo ora a rigirarsi nel letto.
Scende a piedi. Luce plumbea.
La solita occhiata alla cassetta della posta, piena. Stasera quando torna dovrà ricordarsi di vuotarla.
E' da pasqua che non lo fa.


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