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La voce era un'altra, una voce mansueta e gentile di donna anziana.
La prima volta si scusò, mise giù in fretta e ricompose il numero.
Ma lei era ancora lì, si era allontanata solo di qualche passo ed era tornata
a rispondere; e lui stavolta dovette scusarsi più estesamente. Sarà
un' interferenza, proverò a rifare il numero più tardi.
Al terzo tentativo, scoprì che il numero era giusto ma non c'era niente
da fare: sbagliata era la persona all'altro capo di quel filo. E si scusò
di nuovo, confuso e sconcertato, ma lei era così paziente, gli perdonò
l' imbarazzo, lo rassicurò che non la stava disturbando e che, anche se
non capiva, capiva lo stesso. Gli suggerì di controllare la rubrica oppure
di chiamare la Telecom per spiegazioni. Lo salutò con un augurio, perfino.
Più tardi, già sulla soglia di casa, parlò ancora con lei,
con la vecchia signora sconosciuta che abitava dentro quel telefono. E ci abitava
da un sacco di tempo, lei e la sua piccola vita di centrini e di vasi sui davanzali,
di fotografie nelle cornici degli specchi, di tranquilla solitudine. Senza che
lui lo avesse chiesto gli diede il suo nome e anche l' indirizzo, per dimostrargli
che c'era un errore ma che non doveva sentirsene così mortificato.
Uscì per andare al lavoro col cellulare che gli bruciava in tasca. Dall'
ufficio chiamò la Telecom e parlò a vuoto con un risponditore automatico
che non gli chiarì le idee. La persona che lui cercava attraverso quel
numero che pure conosceva a memoria non risultava sull'elenco. Sull'elenco, al
suo posto, c'era la vecchia signora paziente.
Lavorò accigliato fino all'ora di pranzo senza più trovare il coraggio
di richiamare. Quando si infilò la giacca per uscire gli si formavano nella
mente silenziose imprecazioni, e una decisione grottesca.
Mezz'ora dopo, dall'interno dell'auto, guardava dall'altro lato della strada la
facciata di un palazzo liberty in fila con altri simili dalle sfumature ugualmente
sbiadite.
Scrutò le finestre cercando quella che più potesse assomigliare
a quella voce sconosciuta e comprensiva, e gli parve di sceglierne una con le
imposte spalancate, i gerani ricadenti, la gabbietta con un uccellino, le tende
con dei rosoni in trasparenza. Uscì dalla macchina sbattendo lo sportello
e gettando mezza sigaretta ancora buona da fumare. C'era quel nome tra gli altri,
sulla fila dei campanelli.
"Sono quello che ha sbagliato numero".
Le parole gli uscirono in fretta inciampandosi nella voce e nell'ultimo fumo,
e inaspettato arrivò quasi subito lo schiocco del portone che si apriva,
e la risposta:
"Secondo piano, salga pure".
Si ritrovò in un ingresso troppo arredato di bomboniere e quadretti di
montagna, e quel viso grigio ovale con piccoli sorrisi fra le rughe.
"Vede, è come le dicevo stamattina. Io abito qui, e questo è
il telefono, guardi. Per sicurezza l'ho provato anch'io, e funziona, sa. Ho chiamato
mia sorella e lei ha richiamato me. E' tutto a posto. Forse il guasto è
suo".
Avrebbe voluto offrirgli un caffè, e lui avrebbe tanto voluto accettarlo.
Gli pareva che quella donna avesse delle risposte, ma a lui ora mancavano le domande.
"Non riesco a capire" continuava a mormorare, e intanto il caffè
era pronto nella piccola cucina ordinata, e un giacinto viola profumava sopra
la credenza.
Provò a spiegarle qualcosa, ma era stranamente difficile. Lei lo ascoltava
lo stesso, e le sue mani appena deformate dalla vecchiaia spostavano gentilmente
il cesto di arance in mezzo al tavolo, gli avvicinavano lo zucchero. Rimase in
silenzio sorridendo assorta mentre lui fissava il termosifone e non capiva.
"Posso chiederle perché è venuto fin qui invece di andare
da lei? O da lui? Insomma dalla persona con cui voleva veramente parlare?"
E chi lo sa. E chi lo sa.
Per paura, forse. Sì, per paura, paura di sapere.
Sulla soglia inaspettatamente lei gli mise per un attimo una mano su una spalla,
come fanno le madri per raddrizzare il colletto del grembiule ai bambini che
vanno a scuola.
"Non stia ad angustiarsi, non mi ha disturbato. Non avevo niente di importante
da fare".
Scese le cale con un senso di colpa, e gli passava per la testa solo una cosa
adesso: che si sarebbe fermato dal primo fioraio e le avrebbe mandato un mazzo
di margherite.
Mentre si allacciava la cintura guardò ancora in alto, verso quel balcone
in mezzo sole, ma la tenda non si mosse.
In tasca, il cellulare cominciò a vibrare.
Sul display comparve un nome, e anche una gabbietta con un canarino e un vaso
di margherite dentro una vetrina, e ricordò che forse il guasto era suo,
come aveva detto lei.
Lo lasciò suonare due o tre volte.
Poi lo spense, e poi mise in moto.
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