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Incontri ravvicinati di un certo tipo

Mi è uscita da una stradina laterale sulla destra e si è immessa senza curarsi della precedenza, prendendo tranquillamente la statale come se fosse una continuazione del viottolo da cui proveniva. Non ha accelerato, e anzi ce l'ho davanti alla stessa velocità, ma ho frenato a tempo. Devo starle dietro, ora, perché la strada è piena di traffico pesante e di attraversamenti di paesi; è tutto un limite a 70 e riga continua. Mi tocca guardarla per forza, invece di girare lo sguardo sui campi e sulle case coloniche, e mi tocca guardarla senza perderla mai di vista per evitare di tamponarla. Ogni tanto rallentiamo tutti dietro un trattore o una corriera, e scendo addirittura in seconda. Non ho neanche la radio. E sempre quel didietro di macchinetta bianca, grigia di polvere di piogge acide seccate, il vetro posteriore rigato da linee curve di fanghiglia e briciole di foglie, la targa anonima senza la sigla della provincia.
Al semaforo rosso di un paese finalmente posso staccarle gli occhi di dosso e riconoscere con uno sguardo circolare una chiesa, un'edicola, un gruppo di vecchi fuori dal bar, un negozio di cartoleria, una fila di bambinetti traballanti dietro una maestra.
Ripartiamo e siamo sempre in coda. Tra un po' ricordo un'ampia curva e poi un rettilineo largo dove ho deciso di sorpassare. Usciamo dal paese, le ultime case sfilano ai lati sempre più isolate. Neanche 80: è ora di lanciarsi. Ma no, mi distrae sulla sinistra un recinto, ci sono due cavalli coi musi nell'erba in un atteggiamento non intenzionalmente speculare che mi affascina per un attimo, ed è una di quelle immagini che inspiegabilmente mi restano a lungo nella memoria. Ora però devo stringere perché un'auto in senso opposto sta occupando la strada e ruba i metri necessari al mio sorpasso.
Torniamo a correre uno dietro l'altro, e nel frattempo m'è come passata la fretta, l'impazienza. Ogni tanto mi cattura la sua ruota posteriore sinistra, da qui mi sembra un po' sgonfia, come se avesse preso uno spigolo di marciapiedi o un sasso. La tengo d'occhio in attesa che magari si afflosci e faccia sbandare la macchina, e io addosso.
Altri chilometri e un po' meno sole, anzi ora una luce più uniforme dilata la campagna, e l'aria che attraverso ha uno spessore diverso, sembra più liquida. E' come vedere la sabbia in riva sotto un pelo di risacca. Ma il mare è molto indietro, e sono finiti anche i fiumi. La ruota gira, la controllo e gira, non cederà. Forse.
Ecco, qui c'è un capitello, a destra; lo sfilo via e me ne rimane l'immagine di una cappella come nei camposanti. Mi ricordo i suoi fiori, mentre proseguo. E ai lati, ogni tanto, viottoli dritti dritti verso case lontane.
E ancora quella luminosità blanda che declina.

Comincia a rallentare. Eppure anche il traffico, come i fiumi e i paesi, è finito. E' da un po' che non incrociamo altre macchine. Rallenta ancora, forse si ferma.
No. Niente freccia, ma una svolta verso l'interno, dentro uno di quei viottoli senza cartello: curva larga e calma, e lo infila. Dallo specchietto la seguo per un po' dopo che mi ha lasciata, e comincio a pensare che quella stradina, con un giro lungo in mezzo ai campi incasellati da fossi, la sta riportando prima di notte al suo punto di partenza.
Dev'essere così: un viaggio circolare. Un viaggio verso il ritorno, un giro attorno a se stessa nella direzione del sole al tramonto.

Ci siamo lasciate.
La strada davanti a me è libera, se non fosse che là in fondo, un fondo ancora lontano ma in percettibile avvicinamento, ora vedo che la sera si appoggia ai contorni delle prime montagne e le riempie di ombra. Ma non erano nel mio programma, le montagne, non era fin qui che volevo arrivare. Non me lo ricordo, dove volevo arrivare. Mi sono persa. C'è solo un'idea vagabonda che mi si sta formando nella mente, affiorando da una banale memoria: quel valico laggiù, che fende le pendici sempre più vicine, è in linea perfetta con la strada diritta, e aspetta che io ci passi in mezzo. Lascio scendere il buio e continuo verso quel passaggio sconosciuto. Mi piacerebbe trovare una cosa, al di là, una cosa che ho sempre sognato, che so esistere nel mio altrove: un piazzale di luci colorate che ruotano, e cinque note musicali come parole, messaggi o richiami, dapprima incerte poi sempre più nitide.
E' per questo che sono qui.
Per questo fondo cielo nero e un'astronave illuminata come una giostra che suona un concerto di sole cinque note di gioia, e gente attonita e miracolata come me che apre la sua attesa a quella musica di stelle.


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