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Uno dei problemi di nostro figlio, uno dei primi ma non proprio il primo perché
il primo è stato averlo messo al mondo per un errore di calcolo, erano
tutti quei biberon.
Un frigo pieno di biberon.
Passavamo un sacco di tempo a dosare il latte in polvere, e ogni poco bisognava
intiepidire, scuotere bene, provare una goccia sul dorso della mano e poi prendersi
in braccio la creatura e ficcargli in bocca il capezzolo di gomma.
Del resto fin dall'inizio ci eravamo chiesti:
"Allatti tu o allatto io? Eh?"
E non essendo riusciti, come al solito, a metterci d'accordo neanche su
come nutrire nostro figlio, avevamo optato per la soluzione più anonima:
niente responsabilità, lasciamo fare a Chicco.
Per le scorte in farmacia abbiamo stabilito dei turni, ma questo era il meno:
la regola "una volta per ciascuno" va bene per tutto. Infatti l'abbiamo
applicata anche al resto: un biberon a testa.
Avevamo imparato a non scontrarci sulla soglia della cucina, tu con quello vuoto
da lavare io con quello pieno da portargli.
Ma l'altro problema era che, pur nutrendolo con regolare accanimento, cresceva
poco.
Restava piccolo, delicato.
Cominciava già a sorridere e perfino a pronunciare qualche fonema, ma non
cresceva più di tanto.
Arrivato alla fase "seduto nella culla", ci si è fermato
per mesi: dondolava la testa dai pochi capelli chiari e si teneva aggrappato
al bordo per guardare intorno, ma per un sacco di tempo, anche quando eravamo
ormai passati alle pappine, è rimasto così.
Le pappine.
Beh anche quelle ci è toccato dividercele: io ho scelto la mela perché
è bella da sbucciare e prende quel colorino tortora quando la grattugi,
tu ti sei trovato meglio a scardinare omogeneizzati di pollo e verdure con la
chiave inglese.
Però penso che avremmo anche potuto scambiarci i compiti, dato che questo
tipo di cose volendo le sappiamo fare bene entrambi.
Il pediatra ha sempre detto "Abbiate pazienza, ci sono bambini fatti
così; rari, rarissimi, ma ci sono". E continuava ad annotare
tutto nel suo librone delle casistiche, per farci un giorno una pubblicazione
su Sciences. Secondo noi.
Comunque o di riffe o di raffe 'sta creatura non stava poi così male:
a turno lo mettevamo in terrazza quando c'era bel tempo, e bastava la corolla
di un girasole a riparargli la testa. A turno lo tenevamo in braccio al davanzale
quando pioveva, e gli facevamo sentire le gocce sulle manine per vedere se sorrideva.
Non si spaventava mica.
Neanche del buio ha mai avuto paura, però di notte abbiamo sempre tenuto
le porte aperte per sentire se piangeva, e non piangeva. A volte l'ho sentito
come canticchiare.
Adesso ci sarebbe il problema, quello grosso, della scuola, perché sarebbe
ora.
Il problema di accompagnarlo, prima di tutto, perché noi, si sa, non
abbiamo mica tempo.
Però sarebbe un peccato non mandarcelo, un bambino così
speciale, anche se il pediatra invece è contrario. Avrà
paura che lo scuola lo faccia crescere. Secondo noi, sempre secondo noi
che siamo profani.
Ma siccome in queste cose qui della cultura e dell'istruzione eccetera,
almeno in queste andiamo abbastanza d'accordo, avremmo pensato ad un escamotage
piuttosto intelligente.
Gli insegneremo noi, a leggere e scrivere.
Prima bisognerà litigare un'altra volta per dividerci i compiti,
perché siamo tutti e due convinti di sapere sia leggere che scrivere
meglio l'uno dell'altro.
Vedremo come andrà a finire, al massimo tireremo a sorte.
Lui intanto se ne sta bello felice e piccolissimo e vivo dentro il box, e disegna
coi pennarelli barchette che volano in cielo sui fogli dei calendari degli anni
scorsi.
Così passa il tempo, e il tempo se lo guarda stupito e passa anche lui.
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