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Eugenia, o il tè
Prenderò volentieri, cara Eugenia,
una tazza di tè
dal tuo servizio a rose lievi,
trasparenti
Un tè gentile, al tiglio, alla verbena,
un tè latte e limone
e due praline, non più di due
(sai la mia età)
una di queste con i ghirigori
di marzapane
e l'altra, se permetti,
fondente alla violetta,
persistente al palato come un buon ricordo.
Da Vienna, vedo, ti hanno scritto
le signorine Hoffman, tue cugine
per parte di tua madre
(che pianista, ai tempi in cui tua nonna
andava a corte, si racconta;
tu fosti più modesta, suonavi dalle suore
un po' di armonium che stonava,
e non ne avevi colpa)
Un quadrifoglio ti han mandato,
delizioso pensiero,
raccolto nel giardino del presbiterio.
La tovaglia a crochet procede bene,
a trafori e ghirlande,
pronta - suppongo - per Natale
se non ti impicceranno quei lavori
che fai per gli altri,
gli orli e i rammendi,
colletti nuovi per camicie vecchie,
pagati poco da clienti usurai.
La pendola resiste, non hai cuore
- e fai bene -
di darla via come quei pochi argenti,
me li ricordo sai,
che facevano bello il tuo salotto
prima della guerra,
e i Limoges e i tappeti,
i paralumi a gocce di Boemia,
le volpi, le velette,
le perle in doppio giro,
e gli orecchini di corallo.
Ti resta ancora, e me ne consolo,
il sofà a fiori e frange
il poggiapiedi di velluto verde
il carillon veneziano
e la radio in cucina, là sulla credenza
forse vuota, o con poco.
Io giusto ieri ho venduto
l'ultimo quadro, quello con il faro
e il naufragio.
Naufrago anch'io, che credi?
Ma sorrido
di questo tè gentile e profumato,
delle tue rughe e delle mie,
dell'artrite alle mani che ci fa sorelle,
delle scarpe da risuolare,
se possibile,
ora che piove spesso.
Io? Niente di speciale.
Sono stata
alla biblioteca,
poi da te per sollevarmi un poco
prima di ritornare,
ché la sera
il custode tarda sempre
a portarmi di sopra la legna per il fuoco.
Se scrivi a Vienna, manda i miei saluti.
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