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Dentro

R.Magritte - In memoria di Mack Sennet, 1936

La stanza, me lo ricordo, aveva contenuto armadi.
Solo armadi, molti, lungo tutte le pareti. Era una grande stanza solo di armadi.
Anche adesso che per la prima volta guardavo il grigio dei muri vuoti e le ragnatele a vela appese sbilenche, continuavo a vedere tutti quegli armadi in fila, alti fino quasi al soffitto, che però era ancora più alto e più grigio e più sfumato e sfocato, e molto più lontano insomma.
Erano armadi per tutte le stagioni, e uno diverso dall'altro. Tra lo spigolo netto di uno e la stondatura di quello vicino, nella fessura profonda il tempo di molti anni, gli anni di molte vite e le vite di molte persone avevano calato la loro polvere, a cenci, a squame, a sabbia.
A entrarci la sera, nella sola luce del corridoio, si intravedeva il luccichio stanco delle maniglie e dei pomoli, tenuti lustri come reliquie di chiesa dal passaggio di molte mani. Anche questo mi ricordo, e che il lampadario era stato una larga coppa di opale rosa appesa con quattro catenelle, ma di esso appunto solo il ricordo restava e al suo posto penzolava una lampadina nuda e provvisoriamente fulminata da tanto tempo.
Passando la mano sulle ante fumose - di noce biondo, di fulvo ciliegio -, scorrendo le dita sui solchi delle modanature e intorno alle borchie d'ottone delle chiavi, si carezzava ciò che stava dentro, dentro gli armadi delle generazioni.
Vestiti e cappelli. Scarpe e borse. Cassetti di camicie e sciarpe.
Vedevo i colli di pelliccia, i mantelli da brigante, le marsine e i grembiuli, gli strascichi di raso, le spalle imbottite da generale. Il bianco delle spose e dei battesimi, il nero dei funerali e dei teatri. I fiori, i pois, l'organza e il sangallo delle belle stagioni; il feltro delle giacche d'inverno, gli alamari di cappotti verde-bosco, una gardenia mummificata su una scollatura di velluto blu notte.
E i cappelli, le velette, le bustine, i baschi, i panama sbiaditi dalla spiaggia, tutti con un'aura di profumo attorno, dolciastro e tenero come cipria di una volta, che copriva definitivamente lo stantio dei vecchi sudori.
Nei cassetti, vite piegate a camicie, a pigiami, a sottovesti, a calzettoni da montagna, a panciere di lana e calze di seta; scarpine da sera e guanti di capretto, fazzoletti lisi con iniziali di tutto l'alfabeto.
E quella scatola di cartone foderata con gelosia e chiusa da un nastro stinto... sopra c'era scritto SEGRETI.

Tutto quel che non c'era più era ancora lì, c'erano odore e densità stampati sui muri invecchiati.
Ma la stanza era vuota, ormai. Vuota.
Restava solo quel tavolino sotto la finestra senza più tende.
Un tavolino da cucito, o da gioco, o meglio da scrittura.
Un piano di radica con qualche fessura tagliente e macchie d'inchiostro come farfalle e cerchi di bicchieri.
Un cassettino solo, che scorre male.
Dentro, una scatolina di latta da mentine con la figura di una bambina che ride, guance gaie e codini castani.
Ci custodivo una cosa mia, importante, per non perderla.

Infatti, è vuota.


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