torna a Racconti


Convalescenza

H.Matisse - Femme et anémones, 1920

Ultimamente va meglio. Riesco a stare alzata più a lungo, su una sedia con lo schienale imbottito che mi sono fatta sistemare accanto alla vetrata. Mi portano vicino le cose che potrebbero servirmi, ago filo ditale, un libro da cominciare, occhiali per capire. I fiori sul davanzale cambiano spesso, l'altro giorno li ho desiderati bianchi, e bianchi li ho avuti. Si fanno in quattro per me, e questo mi aiuta. Deve essere stato tremendo per loro accorgersi che io non ero più in grado di farcela come prima e accettare l'idea di farmi vedere da uno specialista. All'inizio qualcuno era contrario, diceva che erano solo esagerazioni, che era un momento e poi sarebbe passato. Ma siccome non passava alla fine tutti d'accordo mi han fatto visitare e la diagnosi è venuta a galla chiara come il sole: lei è stanca. Lei non ce la fa più. Lei ha esaurito la voglia, l'entusiasmo, la forza per tutti voi. Lei ora deve riposare e recuperare. Voi ora dovete arrangiarvi un po' da soli.
Un colpo basso, un incubo.
Posso capirli, non se l'aspettavano, non avevano mai immaginato che la vita fosse una per ciascuno. Che non fosse a me che dovevano delegare le loro, di vite. Che non fossero miei i loro pesi. Un bell'affare, una gran bella disillusione.
Non so come abbiano fatto a perdonarmela, certo il professore gli avrà spiegato che c'era poco da prendersela, che ormai era così e pace. Oppure si saranno fatti aiutare anche loro da altri specialisti, non lo so. Per quei mesi io non c'ero, ero via a curarmi, di sopra, nella mia stanza, con il mio sonno. Ho dormito per tutto il tempo che il professore ha permesso, anche qualcosa di più. E' bastato che mi dicesse:
"Quando vuole come vuole cominci pure".
e io - di solito insonne - mi sono messa giù subito lì sul momento, ero sul divano lo ricordo benissimo col giornale accanto e una coperta aggrovigliata ai miei piedi.
"Anche adesso?"
Non ci potevo credere, ma lui mi assicurava di sì. E io mi sono fidata, gli ho dato retta. Ora o mai più, devo aver pensato in quell'ultimo istante. Mi sono girata verso lo schienale, le ginocchia piegate e la mano come al solito davanti alla bocca, e da allora ho dormito, ininterrottamente, sempre dormito un gran bel buio senza rumori senza colori senza aghi né spine, ho dormito proprio da dio per tutto il tempo che ho voluto.
Se ho smesso è solo perché mi ero stancata di dormire e volevo guardar fuori.
Li ho avuti tutti subito attorno, non credevano ai loro occhi, commossi, quasi piangevano di sollievo. Stavano tutti bene, un po' più tristi, un po' più fiacchetti di prima, ma nel complesso stavano bene. Continuavano a chiedermi ora cosa vuoi fare, ti portiamo qualcosa da mangiare, ti va un tè, sapessi quante cose ti sei persa, vedessi il giardino, vedessi quanta posta, insistevano perché vedessi tutto, tutte le novità, ma io sorridevo e li guardavo e li ascoltavo senza dire niente fino alla fine, e quando finalmente li ho visti tacere e restare appesi alle mie labbra per avere finalmente la mia risposta ho mormorato:
"Mi alzo solo un attimo per prova, poi torno a letto".
Adesso ho deciso che continuerò così per un altro po', perché ho scoperto che fa bene a me e anche a loro.


torna a Racconti