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Ho sentito dire che sei tornato. Mezze
parole, allusioni sussurrate, poi subito riassorbite dentro quell'evasività
protettiva che da tempo mi circonda come vischio.
Qualcuno sostiene di averti visto aggirare con passi da clandestino dalle
mie parti, forse sbucando incerto all'angolo della mia strada e poi rasentando
le siepi dei giardini muti fino al confine con il mio. E qui ti saresti
perso, dicono, smarrito nel non riconoscere i profili dei cespugli trasformati
in roveti e delle magnolie semicancellate dai viluppi dell'edera. Il cancello
sepolto dal crollo dei rosai, dall'abbraccio delle ortiche, dal rigoglio
dei topinambour. Il vialetto dissestato dalle trame possenti delle radici
del cedro, che ne hanno spaccato i lastroni e li scavalcano come grossi
serpenti fossili.
Immagino il tuo sgomento davanti a quella barriera di sterpai che deve
aver ormai reso invisibile la casa dai tetti bassi. Forse te ne sei spaventato,
e hai presunto una catastrofe di proporzioni inenarrabili accaduta in
silenzio e nell'indifferenza; una sciagura cui nessuno ha assistito, cui
nessuno ha prestato soccorso; una rovina lasciata a se stessa, privata
di qualunque tentativo di arginarla.
Dicono che chi ti spiava da dietro le persiane delle case vicine ti ha
veduto scrutare sempre più inquieto e sempre più inutilmente
verso i varchi delle finestre, ma so bene che dalla strada non è
visibile altro che l'intrico dell'abbandono, attraverso il quale non traspare
più nemmeno un lembo degli intonaci. Il bosco selvaggio è
avanzato e si è esteso aggrovigliando insieme il vecchio e il nuovo,
invadendo, rivestendo, sostituendo. Muri e infissi e tegole e le grate
stesse di ferro battuto sono stati inglobati nella vegetazione, diventando
vegetazione a loro volta, rinunciando per sempre alla loro natura minerale.
Sei tornato a cercarmi, dicono, e non so
se crederci.
Dovresti ricordare che quella casa era ormai condannata. Non ricordi le
crepe, lo sgretolio, la ruggine? Non ricordi i gemiti delle porte, le
sconnessioni dei gradini, le ninfee di muffa sui soffitti, le tappezzerie
slabbrate, i vetri spaccati dalla grandine del tempo? Non ricordi i tappeti
macerati, i cuscini scoloriti, le imbottiture polverizzate come sabbia sul
fondo di piramidi violate? Non ricordi le cornici senza quadri, i soprammobili
sbeccati, i bicchieri di Boemia frantumati sotto i piedi zoppi dei tavolini,
le tende strappate dall'alto in basso come da feroci pugnalate, e le sedie
spagliate, le stoviglie deformate, i cassetti crollati, i fili elettrici
nudi a penzolare da orribili buchi nelle pareti?
E gli armadi sventrati su mucchi di stracci tarmati che erano stati abiti
e camicie, e il buco fondo e nero del camino riempito dalla cenere dei
libri che vi sono bruciati? Orologi senza più lancette, specchi
senza più riflessi, muto anche quel rubinetto che perdeva in bagno,
rimasto ormai senza più nemmeno il fiato per gocciolare sulle strie
brune della vasca corrosa.
Tutto questo, hai dimenticato. La rovina che mi ha spinta via da lì,
dove tu non mi cercavi mai.
Dove sto adesso, vedessi. E' tutto nuovo
e pulito, un biancore che assorda.
I passi qui dentro si intuiscono, più che sentirli. Muri, porte,
corridoi, di un candore latteo senza macchia, avvolgente come un grembo.
Gli oggetti non si spostano, ma scivolano - si direbbe - su superfici
lisce, immacolate, vergini. Essenzialità. Massimo controllo. Mai
più un foglio fuori posto, che uno spiffero potrebbe far planare
dal tavolo a disturbare la nitida geometria del pavimento. Mai più
polvere negli angoli, mai più maniglie sbilenche o porte mal chiuse.
Aria leggera e senza peccato, con arpe e clavicembali in sottofondo, ma
solo in sordina. Mi cambiano le lenzuola, gli asciugamani e perfino gli
abiti tre volte al giorno, con nuove lenzuola, nuovi asciugamani e nuovi
abiti uguali ai precedenti ma perfettamente puliti, e tutti sempre e solo
bianchi. Mi portano da bere solo latte e da mangiare solo manna, in stoviglie
bianche, su tovaglie bianche che cambiano ogni volta.
Tu tutte queste cose non le sai perché ho fatto in modo che non
le sapessi.
Ma non farò niente perché qualcuno ti dissuada, almeno,
dal continuare a cercarmi là, alla casa in rovina, alla casa che
non esiste più.
Sei tornato, dicono, ma troppo tardi. E io, devi capire, un giorno ho
smesso di aspettarti.
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