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Dicono di me che ho fegato.
Puoi giurarci, amico mio. Ce n'ho da vendere.
Vieni a vedermi scaricare i camion ai Mercati Generali la mattina presto,
quando è ancora buio.
Si fanno in là, certi, quando arrivo io e mi impossesso delle loro
cassette.
Hanno bisogno di lavorare, quelli, mentre io ne ho solo voglia.
C'è una differenza fra le due cose, ed è quel coltello che
ho in tasca.
Prima la mia voglia affilata; dopo, solo dopo, il loro bisogno sconfitto.
Quando mi è passata la mia voglia, riempio le tasche del loro bisogno
con la frutta che rubo.
Dicono infatti che sono anche un ladro, che sono un ladro con del fegato.
Rapina, si direbbe, a mano armata.
Eppure il mio coltello non lo vede nessuno, è lì in tasca
e non lo tiro mica fuori. Ma si sa che ce l'ho, e questo basta.
Al bancone bevo da solo, vino rosso che fa buon sangue. Perfino al mio
fegato.
Gli altri arrivano dopo, molto stanchi. Si tengono lontani da me e dal
mio coltello.
Sono loro ad avere una faccia da ladri, ladri impauriti. Hanno paura di
me, e un po' anche di rispetto.
I più giovani mi odiano, ma lo bisbigliano a testa bassa dentro
i loro bicchieri. Lo so bene che qualcuno fra loro si rode dalla voglia
di chiedermi come faccio, per imparare ad essere come me.
Ma non ce l'ho, io, tutto quel fegato per insegnarglielo.
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