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Due foto in b/n anni '50

L'anno è lo stesso, il '56, e gli stessi i personaggi, ma le foto sono distanziate di sei mesi.

A febbraio c'era un sole blando che si ribatteva su una vasta facciata bianca d'aspetto superbo, presa d'infilata sulla destra quel tanto da potervi ancora leggere alcune lettere dorate "Grand Ho" di intuitiva interpretazione. Le molte finestre e poggioli tutti con le imposte ben serrate, le aste in fila sulla terrazza sguarnite delle loro bandiere, il portico sottostante deserto, foglie secche sui gradini dello scalone.
Curiosamente è ben visibile un lucchetto che assicura alcuni giri di catena attorno alla maniglia del cancello, largo e di ferro battuto sagomato in volute e onde. Ai lati di esso si fermano siepi sempreverdi che è d'obbligo supporre di arbusti mediterranei e che paiono della stessa varietà di quelle che sfilano ininterrotte dall'altra parte della strada - e quindi sulla sinistra della fotografia - cintando uno spazio apparentemente non occupato da costruzioni. E' da quella direzione che proviene la luce, da un orizzonte libero e da un cielo pulito, sereno se non apparisse grigiastro, il cielo sotto tono di un inverno costiero.

Al centro, sul marciapiede il cui selciato a mattonelle levigate presenta piccole sconnessioni tipiche del degrado stagionale dei posti di mare, un gruppo di famiglia in atteggiamento domenicale. In primo piano, un passeggino un po' sgangherato ma dignitoso è occupato da un marmocchio che pare sul punto di buttarsi fuori, indaffarato com'è a tentare di slacciare la cinghia con molti contorcimenti degli arti e una smorfia irritata che gli deforma la bocca e gli fa strizzare gli occhi. Lo trattengono più che tutto gli indumenti goffi che porta, in particolare un cappottino con molti bottoni e delle manopole che gli imprigionano le mani rendendole definitivamente inefficienti. E' singolare notare che alla maniacale prudenza di chi lo ha vestito con berretto di lana a pompon e due giri di grossa sciarpa è sfuggito di proteggergli le ginocchia, che sono scoperte, e anche i calzettoni sono scivolati sulle caviglie lasciandogli quasi nude del
tutto le corte gambette.

Al manubrio del passeggino si tiene bene stretta, con entrambe le mani guantate quasi ad artigliarlo, una donna giovane dai capelli arricciati alla buona intorno a un viso fine, che sembra segnato da una sua timidezza o da un connaturato disagio di sapersi osservata. E' sepolta in un cappotto lungo e gonfio, con spalle importanti e bottoni appariscenti, ma la stoffa è scura, a larghe strisce verticali di tonalità vicine, e di aspetto ruvido, almeno da come le cade addosso senza grazia. Un sorriso di circostanza le allinea le labbra senza schiuderle, in una forzatura che suggerisce una tensione trattenuta, la stessa che le fissa tutto il corpo in una posizione composta e obbligata, quasi a esprimere la consapevolezza di essere lei la assegnataria ufficiale del compito di governare quel passeggino e il suo contenuto, e al contempo un inconfessato senso di panico che al passeggino stesso la costringe ad aggrapparsi quasi ad evitare l'aprirsi di una metaforica voragine sotto i piedi.

Di lato, e con espressione seria in cui si ravvisano punte di compiacimento, un uomo dalla schiena ben diritta e le spalle orgogliose, come orgoglioso è quel tenere sul braccio il soprabito piegato ed esibire la sua impassibilità alla temperatura esterna, che forse il sole di febbraio non basta a mitigare. Giacca, camicia ben tesa, cravatta: in perfetta tenuta da ufficio o di rappresentanza, benché l'occasione sia con tutta evidenza di carattere informale e al limite con il vacanziero. Con la mano sinistra stringe all'ardito petto un quotidiano ripiegato, del quale si intravede parte del titolo a caratteri grossi e tondi: "sport". Ogni sforzo nella mimica studiata come nell'abbigliamento impeccabile sembra essere stato soppesato e compiuto allo scopo di offrire, dell'insieme, l'immagine più distinta possibile, un paradigma quasi di ineccepibilità virile. Lo sguardo superiore con cui sfida l'obiettivo si definirebbe quello di un militare d'alto grado o di un diplomatico di rango, ma tuttavia gli manca qualcosa - una certa naturalezza - per risultare del tutto convincente.

Alla posa del fotografo si è sottratta all'ultimo una bimbetta, che con gesto improvviso si è accucciata accanto a una delle ruote del passeggino cui dà le spalle, e tende una mano verso il selciato dove qualcosa solo a lei percettibile l'ha attratta. Di lei si vedono il profilo di un visetto accigliato seminascosto da un fazzoletto con frange annodato sotto il mento e le gambette, nude come quelle del marmocchio, che sporgono da un cappottino informe a scacchi; le maniche sembrano corte sui polsi e c'è il sospetto di una scucitura dell'orlo, che dietro penzola come uno straccio.
Il suo atteggiamento per così dire indisciplinato e l'aspetto dimesso del suo abbigliamento sembrano note stonate nell'insieme di rispettabilità che il quadro di famiglia era destinato a sottolineare, la qual cosa induce a ipotizzare che a questo scatto infelice ne sia seguito un altro riparatore, nel quale ogni particolare criticabile e di poco gusto potrebbe essere stato - con le buone o con le cattive - corretto e ottimizzato in nome delle buone regole.


Sei mesi dopo - la data riporta il 29 agosto - un fotografo di piazza li coglie sullo sfondo di un viale animato in orario presumibilmente tardo-pomeridiano. Sulla destra stavolta scorci di tavolini di caffè occupati da persone in abiti estivi, soprattutto spalle di donne in prendisole e uomini in maniche corte. Sulla sinistra, vetrine di negozi non meglio identificati ma all'apparenza lussuosi e ben forniti.

I quattro si direbbe si siano accorti dello scatto in arrivo e abbiano tentato di evitarlo dividendosi in due coppie, ma non è bastato che a mettere un buon metro fra loro. Da un lato la donna giovane, che ora si è tagliata i capelli e indossa una maglietta chiara accollata con maniche a tre quarti e una gonna molto sotto il ginocchio, tiene per mano il marmocchio del passeggino che ormai ha imparato a camminare su quelle gambette sempre nude che sporgono da pantaloncini sorretti da bretelle.
Dall'altro l'uomo serio, che stavolta è addirittura arcigno e pare allungare il passo per evitare di essere ritratto a tradimento senza cravatta, mentre si trascina dietro, appesa sgomenta a una mano ferrea, la bimba col fazzolettino in gonnellina corta e manichine a sbuffo.
Tutti e quattro hanno l'aria di fuggiaschi colti in fallo, gli occhi sbarrati che cercano scampo fuori dall'obiettivo e ne subiscono la cattura come una penitenza.

Non può sfuggire neanche ad un osservatore distaccato la reiterata mancanza, nell'una foto come nell'altra, di un sincero, spontaneo sorriso.


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