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Non so, adesso mi sembra che stiano esagerando.
Devono essere stati dappertutto, dalla soffitta alla cantina, forse anche in
quel soppalco col tetto spiovente dove non guardo mai perché ci vuole
una scaletta - e lo stesso non ci arrivo -, e dentro è buio.
Avranno aperto bauli di cui avevo buttato la chiave, o forse persa in qualche
trasloco, e scardinato, ma con le loro zampette abili e gentili, cassetti incastrati
da grumi di polvere e scaglie di sapone.
Hanno esplorato la mia casa nascosta, quella dove non vivo più.
E non so proprio dove possano averla ritrovata, dato che sono sicura di
averla buttata via tanti anni fa; era deformata, schiacciata, e perdeva
i pezzi.
Stasera al rientro me la vedo lì in mezzo al tavolo di cucina.
La corona d'alloro della laurea, dico, ed è lucida come nuova,
ghirlanda perfetta con i fiocchetti rossi ben tesi e stirati.
Che è proprio la mia lo riconosco dall'odore, c'è
dentro un passaggio di aria fredda e profumata di marzo come quel pomeriggio
sotto i portici ventosi, e una punta di dolceamaro di after-eight e mimose.
Le foglie sono come allora, forti e orgogliose, di verde intenso coi margini
pungenti, e sfiorandole con le dita mi passa dentro la vitalità di una
strana importante nostalgia.
Al centro della corona c'è poi quell'altra sorpresa, e ancora non
ci credo: una composizione da artisti, l'accostamento di colori, densità
e bellezza. E' una torta, una millefoglie che splende di zucchero al velo
e trattiene fra gli strati frastagliati sbavature di crema color oro velato.
Sulla superficie contornata di minuscole meringhe di madreperla un Pasticcere
di Gran Gusto ha scritto con la sua siringa da calligrafo, in carattere
Monotype Corsiva di cioccolato fuso
Perché
è una brava ragazza
Maledetti, vogliono prendermi per la gola...
Ora so che si aspettano che me ne tagli una fetta e me la vada a mangiare seduta
comoda su quella poltrona davanti alla libreria a strisce colorate, ma io ho
un altro programma, più goloso.
Con cautela tiro via la corona d'alloro, senza rovinare i bordi del dolce,
e sorridendo a me stessa me la infilo al collo, come quella sera, come una regina
che si incorona da sé. Poi prendo il piatto e una forchettina e me li
metto in grembo, seduta su uno sgabellino con la schiena appoggiata al termosifone.
Ma non basta.
Uno di loro, perché lo so che mi stanno guardando da qualche fessura,
deve aver trovato il modo di accendere lo stereo sulla mensola, e questo -
come non ricordarlo, Gesù - questo è Revolver, Revolver
capito, come hanno fatto se ricordo benissimo di averlo venduto con tutto l'altro
vinile al mercatino dell'ultima domenica del mese, e c'erano anche
Vinicius e un paio di Fabrizio e Sergent Pepper e altri, inutilizzabili ormai.
Beh, che dire: grazie.
Un'ottima musica, ottima la millefoglie, l'ho mangiata tutta a piccole
tranquille forchettate, e in frigo c'era del vino per gli ospiti che non
ho mai invitato, e ne bevo in pace da una flute del servizio vinto coi punti
del supermercato. Ne bevo in pace senza guardare l'orologio, ne bevo fino
a sentire il sonno che mi si aggrappa dolcemente alle palpebre e alle ginocchia,
e mi conduce quasi per mano di sopra, a dormire, a dormire bene.
Davanti allo specchio del bagno (l'alloro l'ho appeso alla maniglia
della finestra) mi guardo, e capisco fino a che punto questa strana sera mi
ha cambiata.
Non è il mio viso a riflettersi, ma la Dama con l'ermellino, e
quei suoi occhi amorosi, la sua pelle pallida di donna misteriosa, le sue mani
gentili che trattengono con fermezza e affetto la bestiola appoggiata al suo
braccio.
Sembra me, forse lo è, certo è come mi sento io stasera. E siccome
quando quelli mi fanno un regalo è per sempre, le sorrido
anch'io e la saluto con grazia, sicura di ritrovarla lì anche domattina.
Nella mia camera il lettone dei nonni è sempre girato verso la finestra,
e mi accorgo di essere tanto stanca da non aver neanche voglia di spogliarmi
prima di stendermici sopra, supina, le braccia allargate.
E così guardo verso l'alto, il soffitto, quel soffitto viola che
da stasera no, non esiste più, ci sono solo alberi, quegli alberi infiniti
sopra me, che rimango qui, abbandonata, e che ormai ho capito che stanotte,
guardandoli e ascoltando un lontano suono di armonica, non dormirò.
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