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La scatola di latta

Il mio mestiere è la scatola di latta, da sempre.
Ho una forma rassicurante e armoniosa, senza spigoli, bassa, non troppo larga, proporzionata. Una forma tutto sommato elegante, come elegante è quel viso di bella donna che mi sorride sul coperchio, disegnato a colori vividi su uno sfondo ocra e contornato da una ghirlanda di foglie e castagne. La Signora ha labbra rosse e occhi socchiusi mentre solleva appena la veletta per mordere con voluttà un marron glacé.
Perché all'inizio contenevo marrons glacés su un letto di stagnola, e qualcuno mi aveva avvolta in carta fiorata per un dono. Lei mangiò i dolci sera dopo sera e più avanti, leccate le briciole appiccicose, li sostituì con lettere, immagino d'amore.
Naturalmente non le ho lette, sono un contenitore riservato, io. Allora, stavo in un cassettino buio e conservavo ancora al fondo il mio profumo vanigliato, ma ricevevo visite molto di frequente. In quel periodo, Lei mi apriva ogni giorno, per lo più la sera, e con mani delicate. Con me accanto, con me in grembo, sognava. Carezze, ricevevo, e perfino qualche bacio. Lei mi amava molto, ero il suo segreto più caro.
Più tardi, sono arrivati i fazzoletti, con cifre ricamate: stavamo nella penombra pulita di uno scaffale d'armadio, e stavolta il profumo era di lavanda. L'ordine per Lei è sempre stato importante, e io sapevo come custodirlo. Erano fazzoletti di corredo, che non usava mai (troppo delicati, puro batista, e quegli smerli in miniatura così difficili da stirare), ma ha sempre amato e conservato le cose belle, quelle più inutili.
Poi, più avanti ancora, per qualche tempo ho contenuto dell'altro. All'epoca, ero tornata nel buio di un cassetto, più grande stavolta, dove dividevo lo spazio e la quiete con alcune paia di guanti e certi foulards ben piegati, che emanavano un profumo come di rosa. Allora, ospitavo piccoli astucci, alcuni di velluto, altri di cartoncino avorio, accostati ordinatamente, e in ognuno piccoli oggetti d'oro, catenine, braccialetti, medagliette con un nome sopra. Fra tutti, ho avuto una simpatia speciale per una scatolina ovale - di latta, questa, come me - dove, sopra un fiocco di ovatta, stavano alcuni dentini da latte. Anche quella, come me, aveva un coperchio sorridente - una bimba in altalena, e un cagnolino sotto a guardarla -, ma il sentore di liquirizia se n'era andato in fretta.
Quello è stato il periodo di immobilità più lungo di tutti, tanto da farmi pensare che si fossero dimenticati di me. Sì, per anni nessuno si è interessato a me, nemmeno Lei che tuttavia si curava di togliere spesso la polvere dal fondo del cassetto; ma ogni volta , dopo avermi spostata su un ripiano mentre riordinava, mi rimetteva al posto di prima - con garbo, con tutto il suo bel garbo - senza più soffermarsi ad aprirmi e a ritrovare le sue care cose.
E' così che ho appreso il senso dello scorrere del tempo: dal cambiamento della qualità dei gesti.
Ed è per questo che ho provato solo una paziente tristezza quando, negli ultimi anni, sono stata collocata in una stanza diversa, più animata, ma in una credenzina anonima dove non filtra alcuna luce e gli odori che mi circondano sono spessi e ordinari. Sono ancora utile, lo so, anzi ne ho conferme quotidiane perché ora sono molte e diverse le mani che mi cercano, ma ho capito di avere smarrito quel ruolo di privilegio di cui mi sono compiaciuta in passato.
Perché ora, sul fondo di un cassetto di cucina, ospito solo semplici elastici, modeste matite e qualche tappo di sughero e, a dire il vero, in questa quiete utile e banale, in questo angolo senza più sogni, mi immalinconisco un po'.


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