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Cara sorella,
ieri abbiamo ricevuto una visita. A dorso di mulo, con taccuino e macchina
fotografica, è arrivato fin quassù un giornalista, uno
di quegli inviati di guerra che vanno in giro come posseduti dalla parossistica
missione di cacciare il naso raccogliere testimonianze. Subito ci siamo
innervositi. "Oh no – ci siamo detti – questo si ferma
a pranzo di sicuro". Perché, capisci, noi avevamo i polli
contati, uno per ciascuno, e Pierrot li stava già facendo girare
tutti e diciassette sullo spiedo. Per fortuna il tipo aveva le sue razioni
d'emergenza: gallette muffe e mezza fiasca di orzo annacquato, così ci
siamo messi tranquilli.
Lui si è messo invece a caccia di notizie, esaminando con aria stoicamente
partecipe tutti gli aspetti della nostra routine e dimostrando di non capire
un cazzo prendere lucciole per lanterne a ogni piè sospinto.
Quando mi ha visto piangere desolatamente, ha annotato sul suo taccuino
che i lunghi mesi di isolamento hanno minato irrimediabilmente il controllo
emotivo dei soggetti più fragili. Invece stavo sbucciando un secchio
di cipolle, e Dio sa se non mi stavo già pregustando la soupe à l'oignon
della cena.
Quando ha visto Tonton e Fifi affacciati alla trincea a sbracciarsi rivolti
agli altri di là, ha preso nota che le munizioni sono ormai
finite ma la determinazione di combattere ha trovato un'altra strada, quella
dell'insulto. Invece quelli si stavano raccontando barzellette da caserma
a gesti e le loro non erano imprecazioni guerresche ma sani sghignazzi da
osteria.
Quando ha visto il tenente steso sulla branda con una benda sugli occhi,
ha scritto un poema sul nostro comandante che era stato ferito alla testa
e rischiava di perdere la vista ma sopportava eroicamente la menomazione
rifiutando di essere trasferito. Invece stava smaltendo il Calvados della
sera prima, quando aveva fatto le ore piccole giocando a poker con quei
tre bari di Dodo, Momo e Jacquot.
Poi si è impuntato a voler prendere delle fotografie, e questo ci
ha dato parecchio fastidio. Gli interessavano particolarmente le latrine,
il che ci ha fatto capire che era proprio un pervertito. Insomma, non lo
volevamo più fra i piedi. Così siamo andati a svegliare il
tenente e gli abbiamo detto "Faccia qualcosa lei, perché qua
c'è uno che ci sta sputtanando infamando". Il nostro tenente è un
grand'uomo, uno che sa sempre come liberarsi dagli impicci anche quando è ubriaco
indisposto (per dire, dal carcere di Nantes è evaso due volte, e
da quello di Tolosa tre). Al giornalista ha fatto un bel discorso. Gli ha
detto che qua siamo in zona di guerra, in una postazione di altissimo valore
tattico e strategico, e che qualsiasi fuga di notizie avrebbe compromesso
irreparabilmente non solo la nostra incolumità ma le sorti stesse
della guerra, e che pertanto lui si trovava nella scomodissima posizione
di rischiare di essere passato per le armi immediatamente e sul posto per
alto tradimento, a meno di non girare le chiappe e sparire alla nostra vista
entro un minuto esatto, ma non prima di aver consegnato gli appunti e il
rollino fotografico. Nel frattempo, Philou dava una pacca sul deretano del
mulo, cosicché il povero inviato non solo se l'è filata senza
farsi pregare, ma ha anche dovuto scapicollarglisi dietro (inutilmente)
giù per la discesa con rovinosi scivoloni e cadute.
E noi ci siamo finalmente messi a tavola in santa pace. Non chiediamo
altro.
Un fraterno abbraccio dal tuo affezionato
Damien
poscrittum: no che non ci sono rimasto male se Ermeline ha deciso di rompere
il fidanzamento con me e di sposare Perpignol. Lui me lo ricordo, è quel
gobbetto che fa il calzolaio di fianco alle pompe funebri. Ma questa Ermeline,
scusa se te lo chiedo, chi è?
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dal fronte
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