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Del verbo essere 5

H.Toulouse-Lautrec - La lavandaia, 1886

Devo camminare. Devo.

Ogni sera cammino un po' di più, e non posso farne a meno.
Ogni sera, dapprima lo scricchiolio vivo della ghiaia in cortile, la calco avanti e indietro per sentirla suonare sotto i miei zoccoli di legno, bianchi e coi buchetti come quelli da ospedale. Mi sento io stessa quel rumore, diseguale a ogni passo.
Poi fuori dal cancello, e l'asfalto ancora acceso fino a dove si sgretola l' ultimo marciapiedi per racchiudere il piazzale di lampioni e falene, e più avanti inizia il buio del mare invisibile, la campagna dal soffio marino.

Ogni sera allungo la strada. Ormai ho capito che è un bisogno, che non ne posso più fare a meno.
Lo aspetto con furia nascosta, quel momento benedetto, quando mi tiro dietro la porta di casa e infilo gli ultimi bordi del paese fino allo stradone.
Da lì è notte, da dove finiscono le luci delle finestre e i ronzii dei condizionatori.
Da lì è notte ricamata, stelle rasoterra di lucciole, tonfi di rane nel fosso. E strisce di luna tra le ombre seghettate del mais che cresce.

Una riga di frescura umida si rapprende dal terriccio attorno alle mie caviglie. Scricchiola morbido lo sterrato, e intanto sto pensando al colore rossastro che ha di giorno, tra i solchi delle biciclette dei ragazzini di campagna. Sto pensando alla civetta che vive sul castagno piantato là in mezzo, come un giovane vegliardo che sembra immobile e invece vive, anche meglio di me. Penso alle sue vaste radici aggrappate al cuore della terra, non come le mie che sulla sua crosta sottile non sanno stare ferme.

E i cani con me. A scrutare quello che io non vedo, e a mostrarmelo con gli occhi che io non ho.
La sera devo uscire e poi liberarli dai guinzagli perché corrano avanti a me e mi riportino risposte a domande che di giorno non si fanno.

Devo camminare.
Devo camminare, ché non ho radici. E intanto pensare a dove le ho lasciate, a chi se le è tenute. Pensare a un secchiaio di piatti e bicchieri, a pranzi e cene appena assaggiati, al vino che non sa ormai di niente e non stordisce neanche più.
Per quanto ci provi, devo continuare a camminare e non so smettere.
Avanti, dove il viottolo si va disfacendo tra le erbe selvatiche, la notte è più densa e dentro ci navigano come pesci profondi i pensieri che ho trascurato.

Non so smettere.
Devo camminare, non posso fermarmi.
Camminare aiuta a pensare e aiuta a non pensare.
Ho corso tanti giri di tartan, faceva un rumore morbido e scattante insieme, ma adesso è più buono questo ritmo assopito su un nastro di terriccio che non ha fretta di vincere.
Se mi fermo, si ferma anche l'arco della luna e il fruscio delle serpi di fosso. I ricci smettono di scivolare di traverso, con le lucciole impigliate fra i timidi aculei. Si arrestano sorpresi i voli dei pipistrelli fra un traliccio e l'altro, e la notte viola trattiene il fiato a un passo dalla riga frastagliata dei vigneti.

Devo camminare dietro a me che cammino dietro ai miei cani, mentre il giorno e la notte si scavalcano come pazienti animali al giogo. Dietro a me che ho una deriva da tenere, scritta col succo delle bacche d'estate sui ciottoli del fiume in magra.

Una sera ho creduto di essere arrivata dall'altra parte del piatto del mondo, e che ci fosse un parapetto da cui sporgermi. Ho creduto di aver camminato così tanto e lontano da stare per toccare all'indietro la notte di ieri. Ma poi, ogni sera che è venuta dopo, mi sono spinta un po' più avanti, e quella ringhiera sul vuoto ancora non l'ho vista.

Bisce d'acqua e rospi allo sbando traversano di sghembo le chiazze di luna e se ne accecano. Ci passo attraverso anch'io e mi guardo i tatuaggi sulle mani, il dorso e i palmi, ma subito dopo alte nuvole in viaggio mi si stendono addosso e cancellano.

E io perdo la strada.

Per questo porto i cani con me. Perché se mi metto a girare in tondo a occhi chiusi in mezzo a questo lago nero silenzioso poi non avrei più un nord né un sud né un dove né un perché, né abbastanza da camminare per tornare indietro.

E loro, loro saggi e sereni, loro che non pensano e non sanno di non-pensare, mi riportano a casa.


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