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Del verbo essere 3

E.Degas - La famiglia Belleli, 1862

Da bambini ci piaceva farci raccontare le storie della guerra. I pomeriggi erano più lunghi di adesso. La mamma ritagliava le figurine dal Corriere dei Piccoli e noi stavamo seduti attorno col mento sul tavolo.
A Venezia non c'erano rifugi. Restavano in casa, scendevano ai piani bassi e sentivano gli aerei che andavano a sganciare su Treviso. Ma noi non sapevamo come erano fatti gli aerei né le bombe e neanche i morti. A noi piacevano quei racconti perché ci facevano un po' paura. Ci piaceva aver paura di una cosa già successa, già finita, e che non ci avrebbe fatto paura mai più.
Mia mamma poi però ci intristiva con storie più brutte, quelle dei suoi professori e di certe sue compagne delle Magistrali che erano stati messi fuori dalla scuola perché erano ebrei. Ci spiegava cos'è il Ghetto di Venezia, un posto bellissimo dove ogni volta che vado anche adesso respiro sacro. Parlava dei cadaveri che un giorno aveva visto per terra andando al lavoro, e che nessuno doveva toccare perché erano un buon esempio.
Questa era una delle cose che noi non capivamo del tutto. Io per esempio preferivo sentire di quella volta che una bomba finì incastrata nel muro di San Giovanni Crisostomo, e infatti si vede ancora.
Poi che altro. I sacchetti di sabbia, la fame, le palle di carta pressata da bruciare dentro le stufe. I vestiti che mia nonna tagliava nella tela da sacco e poi ricamava con fili tirati pazientemente dagli orli di vecchi stracci. Il più bello era per andare a messa, ma una domenica che pioveva si rovinò irrimediabilmente.
Un altro problema erano le calze. Per non sciuparle, mia mamma le infilava solo prima di entrare in ufficio, in una calle lì di fianco, e la sua amica controllava che non passasse nessuno; poi si davano il cambio. Le rammendavano con i capelli, le calze smagliate.
Dopo l'8 settembre, mio papà che era ancora solo un fidanzato si imboscò nella soffitta di mia mamma e ci passò due mesi nascosto, ma non lo cercarono neanche così dopo un po' tornò a lavorare in banca che gli piaceva tanto. Si dimenticò di suo fratello affondato in un sommergibile, e anche di quell'altro che si era preso la tbc in un campo di prigionia.
Venezia in quella guerra lì si salvò, insomma se la cavò abbastanza bene, perché sia i cattivi che i buoni non volevano rovinarla: anche senza pozzi di petrolio era pur sempre un gran bel bottino.
Per chiunque avesse vinto.


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