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Lo straniero
(Albert Camus)

Mi ha profondamente colpita, questo Straniero di Camus, romanzo famosissimo di autore famosissimo, quindi probabilmente non dirò niente di nuovo a parte le mie impressioni personali e emotive.
Camus era nato nel 1913 in Algeria, allora a tutti gli effetti territorio francese (si guadagnerà l'indipendenza in modo piuttosto cruento solo nel 1962). Laureato in filosofia, aveva intrapreso la carriera di scrittore e giornalista e aveva inizialmente aderito al partito comunista, dal quale si sarebbe dissociato dopo la fine della guerra. Ha scritto libri famosi come La caduta, La peste, Il mito di Sisifo, e nel 1957 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura. Muore ad appena 47 anni in un incidente d'auto.
Viene citato insieme a Jean-Paul Sartre come massimo esponente della corrente dell'esistenzialismo che teorizza l'assurdità dell'esistenza e l'inadeguatezza dell'individuo davanti alla realtà, la sua impossibilità di stabilire autentici legami con gli altri; secondo Camus, questo problema può essere superato solo uscendo dall'individualismo e proiettandosi nel sociale per raddrizzare le storture, le ingiustizie, ossia l'uomo deve smettere di essere "solitario" per imparare a diventare "solidale". Quindi l'esistenzialismo di Camus è una variante di quello ufficiale, in quanto non contiene pessimismo ma al contrario esalta la vita e esorta a fare lo sforzo di prendere coscienza della precarietà umana per trovare un modo migliore di vivere pienamente riscoprendo il valore dei rapporti personali e sociali.
Lo straniero è stato pubblicato nel 1942. La vicenda, breve ma forse proprio per questo straordinariamente intensa, è ambientata in Algeria verso la fine degli anni trenta; protagonista e voce narrante è un giovane impiegato, Meursault, e l'impianto è quasi diaristico, infatti il tempo verbale è il passato prossimo e in molti passaggi la narrazione sembra quasi condensarsi in scarni elenchi sul modello "ieri mi sono alzato, ho fatto colazione, sono andato al lavoro" eccetera. Tre sono gli avvenimenti cruciali: la morte della madre, la relazione con una ragazza e un fatto di sangue, l'omicidio di cui il protagonista si macchia ai danni di un giovane arabo, con conseguente arresto, processo e condanna a morte. Meursault attraversa questi avvenimenti manifestando una specie di patologica indifferenza: Camus infatti ritrae un personaggio nativamente, costituzionalmente incapace di provare sentimenti fondamentali come l'amore, il dolore, la tenerezza, la compassione, il pentimento, la speranza. Del resto l'incipit, famosissimo, ce lo fa capire subito:
Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall'ospizio: "Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti". Questo non dice nulla. È stato forse ieri.
Di fronte alla morte della madre il figlio non si commuove, non prova rimpianto, ma si reca al funerale come ad un obbligo sociale. Va detto che, viceversa, non manifesta nemmeno fastidio o insofferenza per questo obbligo, ma più che altro indifferenza. La caratteristica di questo personaggio è proprio l'indifferenza; una frase ricorrente è "Per me era lo stesso, per me non era importante", ossia sembra che nulla gli susciti reazioni, lo scuota. Le sue scelte e i suoi comportamenti sono automatici, quasi utilitaristici. A chi gli chiede come mai la madre, non poi così vecchia, non vivesse più con lui ma fosse ospite di una casa di riposo, risponderà che "non avevamo più niente da dirci", e a un'altra domanda sull'età della madre non saprà addirittura rispondere. Al termine del funerale, mentre fa ritorno ad Algeri in corriera, dice:
Quando l'autobus è entrato nel nido di luci di Algeri ho pensato che sarei andato a letto e avrei dormito dodici ore.
 Anche la relazione con Marie, una ragazza bella, desiderabile e innamorata, è vissuta da Meursault esclusivamente come un passatempo superficiale, è una relazione basata da parte sua solo su motivi di ordine diciamo così "ormonale". Direi che la vicenda si condensa piuttosto bene in questo passaggio:
La sera Marie è venuta a prendermi e mi ha domandato se volevo sposarla. Le ho detto che la cosa mi era indifferente, e che avremmo potuto farlo se lei voleva. Allora ha voluto sapere se l'amavo. Le ho risposto, come già avevo fatto un'altra volta, che ciò non voleva dir nulla, ma che ero certo di non amarla. "Perché sposarmi, allora?" mi ha detto. Le ho spiegato che questo non aveva alcuna importanza e che se lei ci teneva potevamo sposarci. Del resto era lei che me lo aveva chiesto e io non avevo fatto che dirle di sì. Allora lei ha osservato che il matrimonio è una cosa seria. Io ho risposto: "No."
Allo stesso modo, Meursault diventa assassino senza né intenzionalità né malvagità, ma quasi sotto l'influsso di un momento di assenza della ragione forse per via del gran caldo del momento o dell'istinto di autodifesa di fronte alla presunta minaccia di un coltello. Tuttavia un uomo muore, e da questo crimine hanno origine conseguenze tragiche, dall'imprigionamento al processo e alla condanna alla ghigliottina; eppure Meursault nega fino all'ultimo, sia a chi lo accusa che a se stesso, di sentirsi colpevole e di provare rimorso. Nella seconda parte del romanzo, tutta dedicata appunto al processo, Meursault sembra non capire perché i giudici e la stessa opinione pubblica lo dipingano come un mostro di crudeltà, e nemmeno lo angoscia l'idea di essere condannato e forse mandato a morte. E invece sarà condannato proprio perché, più che il delitto in sé che avrebbe anche potuto essere parzialmente perdonabile perché avvenuto in seguito a una minaccia, è l'immagine complessiva dell'imputato e il suo passato a condannarlo. Vengono infatti chiamati in aula testimoni che descrivono la sua freddezza e insensibilità in altre occasioni, come appunto la morte della madre, e ovviamente per la gente comune è facile giudicarlo un mostro e provarne orrore.
Ma è evidente che Meursault non è un mostro, il suo non è cinismo perché il cinismo implica una quota di consapevolezza, di volontarietà, di malvagità, mentre in lui non esistono nemmeno questi sentimenti. Esiste solo l'indifferenza, un'incapacità patologica di distinguere il bene dal male. Per lui è tutto uguale, tutto lo stesso, e non c'è modo né motivo di cambiare le cose. È un uomo cui manca, ma senza colpa, quella parte di sensibilità che noi definiamo – a volte ipocritamente – umanità. Bene, Meursault non è un ipocrita, non fa nulla per migliorare la propria immagine, per alleggerire la propria posizione. Aspetta l'esito del dibattimento senza capire fino in fondo i meccanismi, perché è diverso dagli altri, è uno straniero sulla terra e fra gli uomini, e non riesce a integrarsi nella mentalità comune. Io lo vedo come una persona nata con una malformazione congenita, con un difetto enzimatico: e queste non sono colpe, non sono scelte, ma tare che uno si scopre addosso e che tutt'al più meriterebbero di essere capite e curate. Non è dato sapere se questo vuoto morale di Meursault dipenda da un suo vissuto precedente, da traumi infantili o altro. Noi sappiamo solo di essere di fronte a un uomo a-morale, privo di quei valori etici che  spesso la gente per bene vanta ma che altrettanto spesso sono solo la simulazione convenzionale di un codice etico artificioso.
L'unico sentimento che affiora, e con una certa autenticità e convinzione, è l'attaccamento alla sua terra, alla città di Algeri e ai suoi paesaggi, il mare, le campagne. Vengono descritti spesso e ogni volta con tenerezza, con un affetto che finalmente sembra reale. Non so se Camus ne fosse consapevole o se lo avesse fatto perché lui stesso amava profondamente la sua terra natale; è però un fatto che Meursault ama passare ore di ozio sul terrazzino e prova godimento e serenità guardando la vita svolgersi pigramente nei pomeriggi domenicali lungo la strada dove passano le famiglie, i ragazzi, i gelatai, e ama gli odori e i rumori e i colori dei tramonti, della spiaggia, e in prigione li rimpiange. Ho notato questo attaccamento e mi ha molto intenerita, perché mi pare che indichi due cose: che quello per le proprie radici è comunque un sentimento imprescindibile, proprio perché più che un sentimento umano – e quindi culturale – è quasi un istinto viscerale; e in secondo luogo mi è sembrato di capire che in questo modo Camus voglia dirci che il suo personaggio, così indifferente alla vita e al prossimo, così straniero, percepisce se stesso, più che un individuo come gli altri, quasi un oggetto inanimato, una pietra che fa parte di un paesaggio e che solo lì, immobile e immutabile, ha senso, l'unico senso, la sua vita.


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