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La promessa
(Friedrich Dürrenmatt) |
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La promessa del titolo - l’assicurazione
che il colpevole sarà individuato e punito - è quella che
il protagonista, un poliziotto noto e stimato per le sue eccellenti capacità
investigative, rivolge ai genitori della piccola vittima di un odioso
crimine a sfondo sessuale, ma prima ancora è un giuramento ferreo
che egli fa a se stesso, e che si trasformerà in una vera e propria
ossessione. E più che una promessa di giustizia è un impegno
di vendetta, quasi che la caccia al colpevole fosse vissuta dall’investigatore
come un corpo a corpo personale a distanza. La brutalità del crimine
e le sue sordide motivazioni contagiano a poco a poco l’adamantino
poliziotto, riducendolo a un cacciatore spietato e abbrutito che fa suoi,
nella sua cieca ricerca, i metodi vili e immorali del suo inafferrabile
antagonista, giungendo a sfruttare una bambina ignara per usarla come
esca, a rischio della vita. È come se le ragioni iniziali –
compassione per le vittime, senso di giustizia, amor proprio di un investigatore
che non si rassegna davanti a un caso insoluto o alla sbrigativa soluzione
caldeggiata dai suoi superiori e da lui giudicata non convincente –
confluissero in un unico impegno verso se stesso, un impegno dai caratteri
sempre più maniacali e disumani, lungo la strada di quella pazzia
che uno psichiatra, nelle prime fasi della vicenda aveva discretamente
ma inequivocabilmente prospettato. Non avevo mai letto niente di Dürrenmatt
e non avrei neanche letto questo libro, senza un input convincente. Però
quando, un po’ svogliatamente, l’ho aperto e ho letto l’incipit,
che nella maggior parte dei casi risulta di grande aiuto per capire al
volo se un’opera può interessare o meno, ne sono rimasta
colpita subito e non ho potuto fare a meno di leggerlo e finirlo in due
o tre sere. Fermo restando che il mio interesse, comunque, non è
stato mai per la vicenda in sé, ho applicato a questa lettura la
formula che adotto ormai da anni, e che consiste nello studio, più
che dell’intreccio, dello stile dell’autore. Questa modalità
di lettura, che punta l’attenzione prevalentemente alla forma, alla
tecnica scrittoria, ha spesso come risultato il fatto che di un libro
non ricordi la storia, i fatti, i nomi dei personaggi, ma mi rimanga impressa
indelebilmente la sensazione che mi ha procurato il modo con cui storia
e fatti e personaggi sono stati esposti dall’autore. Sono dell’idea
che, se è vero che un libro è costituito da forma + contenuto,
il valore delle due componenti sia pari, anzi arrivo a dire che personalmente
attribuisco più valore alla forma che al contenuto, perché
penso sia attraverso la forma – ossia lo stile personale e le tecniche
dimostrate dall’autore – che si arrivi a valutare meglio la
sensibilità, la personalità e le capacità di uno
scrittore. In fondo i contenuti, per quanto numerosi e vari, raramente
dicono qualcosa di veramente nuovo, siano i messaggi di natura sociale
o politica o ideologica oppure di semplice evasione narrativa, mentre
viceversa quello che è – o che può e soprattutto dovrebbe
essere – unico, originale, è lo stile con cui vengono trasmessi,
l’impronta che ci rende l’autore sempre riconoscibile. Vorrei
citare a proposito di questo argomento due testi arcinoti e significativi:
Esercizi di Stile, di Raymond Queneau, che in modo divertito
ma tuttavia serissimo suggerisce domande e risposte circa le infinite
possibilità interpretative di un concetto, e le splendide Lezioni
americane di Calvino, che illustrano al lettore i retroscena e l’impegno
di uno scrittore serio che tenda a raggiungere la migliore espressività
attraverso l’uso dei molti e delicati strumenti della tecnica dello
scrivere. L’ideale dunque sarebbe vedere in un’opera l’armonizzazione
tra il contenuto e lo stile, entrambi curati dall’autore con coerenza
e originalità.
nella loro brevità e quasi impersonalità introducono a un tono generale che non è mai sereno, rilassato, ma al contrario distaccato, quasi insofferente per non dire cupo. Così come certe laconiche descrizioni ambientali
che ci restituiscono uno sfondo plumbeo e minaccioso, ben lontano da quei paesaggi da cartolina con i quali tradizionalmente ci raffiguriamo un paese verde, ricco e ordinato come la Svizzera. Anzi la raffigurazione della Svizzera attraverso una storia così tetra e pervasa dal Male, questa specie di denuncia di un ambiente morboso, mi ha ricordato l’astio e il totale rifiuto di ogni misericordia di un altro scrittore, Thomas Bernhard, l’autore fra l’altro de Il soccombente, Perturbamento e La fornace, nei confronti del suo Paese natale, stavolta non la Svizzera ma l’Austria, anch’esso comunque generalmente considerato un paese ordinato e civile al punto che in passato si parlava di Austria felix. La lettura della Promessa di Dürrenmatt
lascia aperte alcune domande: si tratta veramente di un romanzo realistico,
oppure la tesi iniziale ha forzato la mano all’autore spingendolo
a escogitare una soluzione su misura? Al giorno d’oggi parrebbe
di poterne dubitare, e tuttavia anche la cronaca nera più attuale
e di casa nostra ci propone dei casi che sembrano destinati a restare
insoluti o comunque segnati da pesanti dubbi per l’impossibilità
di accertare i fatti in modo inconfutabile. E poi ancora: il protagonista,
Matthäi, è un eroe positivo oppure negativo, ma soprattutto
è o non è un eroe? Ci viene presentato in più tratti
diversi e quasi opposti, dal suo sconvolgimento davanti al dolore dei
genitori della piccola vittima alla spietatezza dei suoi metodi di ricerca,
e tuttavia ciò che nel tempo rimane intatto in lui anche nel progressivo
imbarbarimento dell’animo è quella smania di rigore, quell’accanimento
della volontà, che malauguratamente – e, come si dimostrerà,
del tutto inutilmente – hanno perduto ogni valore etico e tengono
duro quasi solo per cieca e insensata tenacia. Malgrado certi aspetti tetri e a tratti brutali, questo libro non rappresenta una lettura deprimente né angosciante, ma al contrario si mantiene su un piano di coerenza e razionalità che appaga il lettore e ne stimola l’analisi, grazie proprio ad un magistrale controllo della prosa e dei suoi strumenti. torna a Libri letti |