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L'ultima sposa di Palmira
(Giuseppe Lupo)

Il punto di partenza di questo romanzo visionario è un fatto reale e tragico: il catastrofico terremoto in Irpinia del novembre 1980 che causò quasi tremila morti e cancellò del tutto decine di borghi. La Palmira del titolo è appunto uno di quei borghi, situato in Basilicata, ma in un punto imprecisato, perché la premessa del romanzo è che il paese di Palmira non esiste, in quanto non è riportato dalle carte geografiche.
Ossia, Palmira è un paese che non c'è, Palmira sembra appartenere più alla mitologia che alla geografia, più all'invenzione caparbia dei suoi abitanti che alla realtà. La sua fondazione sembra essa stessa la nascita di un mito, e può ricordare la fondazione di un altro celeberrimo villaggio della letteratura, il Macondo di Cent'anni di solitudine, del cui realismo magico ritroviamo qui alcune atmosfere.
La dimensione fantastica è l'ossatura del romanzo e in essa risiede la sua gradevolissima originalità. Una giovane ricercatrice milanese ma di padre meridionale, Viviana, vi giunge nei primissimi giorni dopo la scossa per raccogliere testimonianze utili ai suoi studi di antropologia, e una delle prime persone che incontra le darà a modo suo il benvenuto con questa frase profetica: "Se state cercando meraviglie, questo è il luogo adatto". A pronunciare queste parole è mastro Gerusalemme, un vecchio falegname, un uomo ruvido e saggio la cui missione nella vita è ormai solo quella di costruire e decorare il mobilio per Rosa Consilio, l'ultima ragazza rimasta nubile in paese, quella cui Palmira ha praticamente affidato il suo futuro, la sua sopravvivenza.
Così questa è diventata la missione di mastro Gerusalemme: salvare l’identità di un paese che già prima non c’era e che ora è distrutto fissandola nei mobili di una sposa, intagliandone gli stupefacenti ricordi nel legno, simbolo caldo e vivo della tenacia e della dolcezza degli affetti. E ognuno dei riquadri, delle formelle, delle cornici che intaglia per letti, armadi, cassettoni, racconta una epopea bizzarra e a tratti tragicomica, a metà fra il mito pagano e una superstizione fiabesca,  così che il libro diventa un calendario di sogni, un racconto di miracoli sgangherati. Personaggi di affreschi che si staccano dai muri, apparizioni di angeli e di defunti (tuttavia mai macabri), miracoli improbabili, sciami di farfalle o stormi di uccelli che annunciano rosei presagi, case che nascono in una sola notte: le storie ambientate nei rioni pittoreschi e nelle campagne incantate di Palmira sono così, arcane e surreali, ricche di una fantasia stravagante e coloratissima, inverosimili eppure narrate con realismo, e raccontano un mondo di leggende contadine che sarebbe stato forse capace di sopravvivere al terremoto, ma che invece sarà distrutto proprio dalla ricostruzione, che se darà al paese un nome ufficiale sulle carte geografiche gli ruberà però l'antica e originale identità, mettendo al posto degli orti parcheggi e al posto dei sogni semafori.
Un libro pieno di suggestioni che parla di identità e memoria e, per chi ama i risvolti sentimentali, contiene anche una storia d'amore a lieto fine, che verrà svelata interamente solo nell'ultimo, sorprendente capitolo.


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