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Memoria delle mie puttane tristi
(Gabriel Garcia Marquez)

Un racconto lungo, più che un romanzo, o un 'romanzo breve'. Ma facciamocelo bastare, dopo dieci anni di attesa e l'esito - a quanto si dice - favorevole di una lunga e grave malattia che di certo ha offuscato, in GGM, la vena e la voglia. Un racconto lungo da leggere in una serata e tutto d'un fiato, senza rischiare di diluirlo e di uscire dall'atmosfera in cui ci attira.
Del grande narratore, si riconosce indubbiamente la capacità affabulatoria, a patto di non confrontarla troppo nostalgicamente con quella espressa nei capolavori del suo straordinario passato. Di quei tempi aurei, qui rimane il riflesso di una visionarietà e di una poesia che in GGM sono tratti direi cromosomici; un riflesso stinto come i colori del crepuscolo, della vecchiaia, ma riconoscibile. Nulla a che vedere con le tinte forti e l'ardore descrittivo degli altri grandi romanzi. Rimane tuttavia la potenza e insieme la facilità evocativa, rimane quella geniale padronanza del lessico e dell'aggettivazione, e qua e là si colgono i bagliori della sua originale invenzione poetica, che rimandano a personaggi già amati, ai prodigiosi vegliardi in odore di immortalità di Cent'anni di solitudine, L'autunno del patriarca, Nessuno scrive al colonnello, Il generale nel suo labirinto. Torna anche, quasi dalle nebbie amazzoniche, il fantasma della candida Erendira, e si affianca alla galleria - variopinta e struggente insieme - delle Gloriose Puttane di GGM, archetipi femminili che sempre in lui incarnano il mito stesso della vita, della vitalità, della gioia primordiale e innocente.
Non consideriamola la storia di un amore, e tanto meno di un amore senile o della follia di un vecchio: non credo che l'attrazione del protagonista per la puttana-bambina simboleggi questo, bensì piuttosto quella tensione naturalmente presente in ogni anima umana verso la bellezza, la purezza, l'esaltazione, la liberazione dal grigiore attraverso un ringiovanimento della mente.
Il libro di GGM racconta una resurrezione, attraverso una passione che strazia ma vivifica.
Il messaggio è questo: anche dopo novant'anni di penombra, ci si può innamorare della vita, dei suoi colori sgargianti, dei suoi inebrianti profumi.
Stammi bene, Gabriel, e scrivi ancora.


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