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Un racconto lungo, più che un romanzo, o un 'romanzo
breve'. Ma facciamocelo bastare, dopo dieci anni di attesa e l'esito
- a quanto si dice - favorevole di una lunga e grave malattia
che di certo ha offuscato, in GGM, la vena e la voglia. Un racconto lungo
da leggere in una serata e tutto d'un fiato, senza rischiare di
diluirlo e di uscire dall'atmosfera in cui ci attira.
Del grande narratore, si riconosce indubbiamente la capacità affabulatoria,
a patto di non confrontarla troppo nostalgicamente con quella espressa
nei capolavori del suo straordinario passato. Di quei tempi aurei, qui
rimane il riflesso di una visionarietà e di una poesia che in GGM
sono tratti direi cromosomici; un riflesso stinto come i colori del crepuscolo,
della vecchiaia, ma riconoscibile. Nulla a che vedere con le tinte forti
e l'ardore descrittivo degli altri grandi romanzi. Rimane tuttavia
la potenza e insieme la facilità evocativa, rimane quella geniale
padronanza del lessico e dell'aggettivazione, e qua e là
si colgono i bagliori della sua originale invenzione poetica, che rimandano
a personaggi già amati, ai prodigiosi vegliardi in odore di immortalità
di Cent'anni di solitudine, L'autunno del patriarca, Nessuno
scrive al colonnello, Il generale nel suo labirinto. Torna anche, quasi
dalle nebbie amazzoniche, il fantasma della candida Erendira, e si affianca
alla galleria - variopinta e struggente insieme - delle Gloriose
Puttane di GGM, archetipi femminili che sempre in lui incarnano il mito
stesso della vita, della vitalità, della gioia primordiale e innocente.
Non consideriamola la storia di un amore, e tanto meno di un amore senile
o della follia di un vecchio: non credo che l'attrazione del protagonista
per la puttana-bambina simboleggi questo, bensì piuttosto quella
tensione naturalmente presente in ogni anima umana verso la bellezza,
la purezza, l'esaltazione, la liberazione dal grigiore attraverso
un ringiovanimento della mente.
Il libro di GGM racconta una resurrezione, attraverso una passione che
strazia ma vivifica.
Il messaggio è questo: anche dopo novant'anni di penombra,
ci si può innamorare della vita, dei suoi colori sgargianti, dei
suoi inebrianti profumi.
Stammi bene, Gabriel, e scrivi ancora.
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