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Lucrezia Borgia
(Maria Bellonci)

Ho voluto rileggere questo libro dopo almeno vent'anni, forse più. Era lì, su uno degli scaffali di letteratura italiana della mia libreria, accanto ad altri della stessa Autrice, tutti belli, tutti letti e goduti, tutti amati; tutti incentrati sulla rievocazione di un tempo opulento e tumultuoso della storia d'Italia e di alcuni suoi significativi personaggi. Sapevo che vi avrei ritrovato quei colori e quella vitalità, quei fasti e quell'amore per la bellezza che li hanno caratterizzati, e che si sono riproposti a noi proprio in questo periodo, nelle scorse settimane, in relazione agli eventi vaticani che nel nostro paese abbiamo avuto il privilegio di seguire così da vicino. Lo ammetto, non ho saputo sottrarmi al fascino delle celebrazioni, della ritualità monumentale, della ornatissima cornice in cui si è svolto l'avvicendamento al soglio papale: il mio punto di vista laico, seppur emotivamente coinvolto nella forte spiritualità del momento, ha estrapolato anche immagini di intensa bellezza e ricchezza formale, che mi hanno riportato alla bellezza e alla ricchezza di altra ritualità, quella delle corti italiane rinascimentali, tra le quali quella pontificia era una delle prime per magnificenza.

Pubblicata nel 1939 e subito definita capolavoro, quest'opera della Bellonci non è né saggio storico né romanzo, anche se del saggio possiede la severità documentaria, ammirevolmente accurata e ricca, e del romanzo il ritmo avvincente e la proprietà formale, quest'ultima figlia di una squisita sensibilità artistica che nell'Autrice si accompagna al rigore storico e lo rende fruibile ammantandolo di colore e realismo. Né saggio né romanzo, ma piuttosto biografia innamorata e partecipe, dedicata da una donna colta e passionale dei nostri tempi a un'altra donna, simbolo di un fastoso e contraddittorio rinascimento, la cui cultura e passionalità la storia ci riporta indiscutibili se non sorprendenti.
Di Lucrezia, la Bellonci traccia con minuzia e ammirazione un ritratto che la sottrae ai luoghi comuni della tradizione, i quali la vogliono perversa e infida, preferendo situarla in una dimensione tutto sommato più coerente con i modelli del tempo complesso e inquieto in cui visse. Non la propone come esempio di innocenza in un mondo di ferocia, ma le restituisce, accanto all'ardore che non si può disconoscerle, quelle doti di prudenza e responsabilità che fecero di lei anche una donna dal potere e dalla valenza politici, se non una vera e propria statista. La tesi è che sia stato troppo facile alla storia attribuire a Lucrezia, in virtù della consanguineità, gli stessi vizi e le stesse scelleratezze ampiamente dimostrabili nella vita del padre Rodrigo, papa indegno col nome di Alessandro VI, e del sanguinario fratello Cesare, prima cardinale e poi duca col nome di Valentino. Non è in dubbio l'ascendente da essi esercitato su Lucrezia, ma non costituisce prova sicura che questa abbia adottato come propri quegli esempi, mentre vanno rivalutati realisticamente i pregi e le capacità di una donna che, nel corso di una vita intensa e disseminata di inganni e di tragedie, seppe mantenere una propria coerenza e un'invidiabile coscienza di sé, del proprio ruolo, della propria difficile dignità. La Lucrezia di Maria Bellonci sembra attraversare con intelligenza e lungimiranza tutte rinascimentali le vicende buie, le congiure, i tradimenti, le minacce, la precarietà di un'epoca piena di gravi ombre, senza venir meno ai suoi affetti e soprattutto allo spirito di famiglia, ma tuttavia manifestando sempre e ovunque la propria individualità spiccata e quel sentire cortese che sapeva sfruttare per vincere, con il suo gusto anche mecenate per la bellezza, gli spigoli e le storture in cui era di necessità coinvolta.
Ha una bella luce addosso, questa Lucrezia di Maria Bellonci: la luce delle feste di palazzo, dei cieli italiani, delle arti rigogliose in quell'Italia vitalissima del primo Rinascimento. Leggere queste pagine è come toccare tessuti preziosi, gioielli fini, cibi golosi traboccanti da una cornucopia: le stesse sensazioni abbondanti, un piacere complesso e voluttuoso, a tratti materico, trasmesso da uno stile austero ma capace spesso di lasciarsi andare dentro il sogno di un paesaggio visto da un balcone quattrocentesco, come farebbe un pittore, un pittore innamorato.


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