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La taverna del Doge Loredan
(Alberto Ongaro)

Di Ongaro non avevo letto niente e sapevo assai poco: giornalista e scrittore veneziano, della stessa generazione di Hugo Pratt di cui è stato amico e collaboratore, viaggiatore come lui e come pare sia nel destino o nella vocazione di molti veneziani, da Marco Polo in avanti. Poi, questo libro, scoperto per caso; uno di quei libri - chi ama la lettura lo sa - che si fanno comprare d'impulso, perché qualcosa nel loro modo di presentarsi su uno scaffale riesce a incuriosire subito e irresistibilmente. Anzitutto l'aspetto: un minipocket estremamente piacevole nelle dimensioni e al tatto, con la sovracoperta liscia sotto le dita, con la flessibilità delle pagine, con il piacere leggero ma denso della tascabilità. In copertina un'immagine accattivante: una donna discinta tra lenzuola stropicciate, nel languore di un letto sfatto. Il gusto è rétro, ricorda certe foto stinte e osé d'altri tempi, in cui la sensualità è ottenuta dalla mollezza della forma e non da facili effetti provocanti. E ancora il titolo, che di per sé contiene elementi di intrigante attrattiva: dice che il romanzo ci racconterà di una taverna, posto tradizionalmente adatto ad ambientare storie di viaggiatori e di misteri, e che l'insegna di questo porto di mare si ispira al passato affascinante di Venezia, culla di Dogi e avventurieri, sfondo prestigioso per storie arcane e seducenti.
Le prime righe rivelano subito che i romanzi da leggere sono due, e due sono gli incipit: il primo è quello di un manoscritto ritrovato, il secondo quello della storia che gli gira intorno, ed è quest'ultimo che mi ha immediatamente invogliata, attirandomi fin dalle prime parole in un'atmosfera che ho sentito subito appartenermi, in cui mi sono ritrovata con facilità come in certi ricordi indelebili, e in cui ho desiderato immergermi e immedesimarmi, e restare il più a lungo possibile.
"Il luogo è una palazzina sul rio di San Felice ai piedi del Ponte del Molin della Racchetta, sul lato sinistro del canale per chi vi arrivi dalla laguna e dalla parte opposta a quella della chiesa. [...]"
Già questa esposizione parla un linguaggio teatrale, sembra descrivere le quinte di una scena di cartapesta in cui ci si può aspettare che si svolgerà una vicenda irreale, che promette di tenere col fiato sospeso; una fiaba.
"E' una sera di inverno fra le sette e le otto. Nella palazzina che ha certamente conosciuto tempi splendidi e che conserva ancora una certa corrosa dignità ci sono due luci accese: quella cruda e gialla dello scantinato dove si trovano le macchine tipografiche della ditta e quella ombrata dell'ufficio di Schultz al primo piano, un'ampia stanza dalle pareti quasi interamente coperte di libri di ogni genere e di ogni epoca [...]"
Dunque siamo a Venezia, una sera d'inverno, ai giorni nostri, in una vecchia dimora dove abita e lavora un certo Schultz, editore amante dei libri, che subito dopo scopriremo avere un passato di marinaio, ossia viaggiatore, ossia incantatore, e convivere con un personaggio immaginario, un alter ego bizzarro e ironico che porta il curioso nome di Paso Doble. I due (le due anime dello stesso protagonista) si appassionano a un antico manoscritto trovato sopra un armadio, e nelle ore notturne di una Venezia silenziosa e isolata dal resto del mondo lo esplorano, lo scavano, lo divorano alla sbigottita scoperta di sorprendenti analogie con le vicende reali del presente. L'eroe del manoscritto si rivela, poco per volta, la proiezione dello stesso Schultz su uno sfondo lontano sia nel tempo che nello spazio, ma gli incontri e gli avvenimenti hanno tali somiglianze da sovrapporsi tassello dopo tassello, suscitando non solo curiosità ma anche una certa ansia di ritrovare nella storia già conclusa le spiegazioni e i presagi di quella reale e ancora insoluta.
Tutto il romanzo - un romanzo, dunque, che si basa sulla commistione di due romanzi - narra l'inseguimento avventuroso di una donna, una donna in entrambi i casi sfuggente e malandrina, simbolo e sintesi opulenta della sensualità e della volubilità femminile. La Nina che turba il cuore e il letto dei suoi amanti nel settecento, in una Londra di ladri, furfanti e libertini, è la stessa donna dal cappotto di cammello che ha attraversato fulmineamente la vita di Schultz ai giorni nostri senza lasciargli un nome, un indirizzo, il modo di ritrovarla e stavolta non perderla più. Un inseguimento ostacolato dalla presenza di un personaggio sinistro e potente che sembra racchiudere in sé il Male, e che si muove accompagnato dai suoi bravi e da uno stuolo di animali fantastici dall'aspetto immondo, striscianti e aggressivi come incubi, ai quali viene attribuita l'inquietante definizione di "metafore". La narrazione si svolge su due piani temporali distanti due buoni secoli, e si snoda fra Londra e Venezia, arricchendosi di molteplici personaggi coloriti e stravaganti, che senza sosta sembrano correre e rincorrersi, perdersi e ritrovarsi, sorprendersi e sorprenderci con colpi di scena picareschi degni di un feuilleton raffinato e metaforico, o di un fumetto d'avventure come quelli di Corto Maltese, quel fascinoso vagabondo. La trama, a causa di queste continue intersezioni, è a tratti un po' ardua da seguire, se non ci si lascia prendere fino in fondo dal meccanismo affabulatore dell'invenzione fine a se stessa, ma la lettura è un piacere ininterrotto grazie alla bella tensione narrativa, al divertimento del surreale, all'ironia spesso esilarante e più di tutto al fascino irresistibile delle atmosfere, dei colori, delle ambientazioni favolose. Il linguaggio è - come spesso negli scrittori veneziani - più che scorrevole, direi vorticoso, travolgente, barocco, quasi un lasciarsi andare al gusto puro e semplice dell'immaginazione che non si ferma davanti a niente, che crea i più complicati problemi e subito dopo le loro più straordinarie soluzioni. La trovata del vecchio manoscritto e delle sue rivelazioni forse non è originalissima, ma si presta sempre a coinvolgere il lettore in cerca di evasione, e qui è usata con un taglio surreale e ironico che assicura il divertimento e l'immedesimazione. La tesi, in effetti, è ampiamente condivisibile da chi ama la lettura e sa bene come ogni storia, una volta uscita dalla penna del suo autore, possa sfuggire al suo controllo e animarsi di vita propria, divenendo oggetto di interazione con la fantasia del lettore stesso, che saprà riscriverla, completarla, arricchirla. Non è forse questo il dono, la magia, il potere esaltante della lettura?
In questo romanzo - d'amore, d'avventura, di misteri, e non a caso molti degli avvenimenti si svolgono di notte, nel buio delle calli di Venezia o nella nebbia dei vicoli di Londra - ci si deve tuffare disarmati, pronti a tutto, arrendevoli di fronte a una dimensione onirica che non garantisce spiegazioni ma fascinazione, perché ci prenda e ci porti via, a cavallo o su un treno, a bordo di un veliero o di un motoscafo, ieri oppure oggi, tra realtà e incanto, nel sogno dell'Autore e in tutti i sogni nostri.


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