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Il grande mare dei sargassi
(Jean Rhys)

Curioso e interessante, questo romanzo, e per più di un motivo.
Anzitutto, l'autrice era nata alla fine dell'ottocento nell'isola caraibica di Dominica, da una famiglia bianca e borghese all'interno di una comunità prevalentemente di colore in un'epoca ancora vicinissima allo schiavismo. Quindi un'origine insolita e un ambiente del tutto particolare, dei quali si portò sempre dietro i segni intensi e contraddittori.
Poi appunto il contenuto, la vicenda che si svolge nell'arco di diversi anni ricostruendo con sorprendente verosimiglianza l'antefatto di un'altra e più famosa storia, quella della pazza Berthe contenuta nel noto Jane Eyre di Charlotte Bronte. Esperimento singolare, che oltretutto mi ha attirato anche perché quest'ultimo romanzo era stato uno dei miei preferiti - e più spesso riletti - quando ero ragazzina.
Un altro segno di questo libro, e per me il più gradito, è lo stile più che buono, più che efficace, della Rhys, che sembra derivare il suo vigore proprio dalle tracce della sua cultura isolana. Per una volta, leggiamo i tropici descritti non da viaggiatori o turisti, non dal di fuori, ma da chi ci è nato e si è nutrito di quello spirito selvaggio e sfolgorante. Le pagine trasmettono i forti colori, gli umori della terra e della vegetazione, una sensualità diffusa e stordente; la Rhys dipinge immagini ricche di fisicità, in cui si alternano i toni sfarzosi e passionali della natura e quelli inquietanti e misteriosi della ritualità indigena. Un contrasto di splendore luminoso e di tenebra impenetrabile, che solo i nativi riescono a sopportare, mentre risulta ostile ed estenuante fino alla fuga per i bianchi europei; un ambiente aggressivo e a tinte marcate, che sembra influire inevitabilmente sui destini delle persone.
La protagonista, Antoinette, è immersa fin dall'infanzia in questo mondo intriso di bellezza e violenza e segnato da una spiritualità primitiva, nel quale si accentuano le angosce e si sviluppano con crescente minacciosità i germi di una follia che è quella di famiglia. Nelle pagine ambientate presso il collegio delle suore, si avverte netta l'influenza di quelle simili della Bronte, caratterizzate da toni cupi e senza scampo. La costante presenza di un senso di minaccia e di abbandono fa di questa bambina trascurata una donna mai cresciuta, cui mancherà per sempre la stabilità Tra i suoi fantasmi da adulta, ecco apparire anche quello opprimente di un'Inghilterra lontana e tetra che le viene imposta come luogo di segregazione, e la cui fredda inospitalità si identifica con l'insensibilità e il rifiuto del marito inglese, aristocratico, insofferente, incapace di amare, di donare, di concepire generose passioni.
Direi che il perno sta proprio in questo: nella contrapposizione di due mondi e sensibilità diversissime, fra i quali non esiste una naturale comprensione, e il cui incontro-scontro genera inevitabilmente tumulti, dissesti irreparabili, esiti tragici.
Consigliabile anche a chi non conosce Jane Eyre, perché la storia si regge benissimo da sola e la scrittura di Jean Rhys è sicura, fantasiosa e coinvolgente. Da scoprire e diffondere.


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