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Hotel New Hampshire
(John Irving)

Per un paio di settimane ho vissuto con la famiglia Berry. Non tutti i giorni, però, perché certe sere proprio non me la sentivo di entrare da loro, a casa loro, o meglio nell'albergo - nel circo - dove abitano. Certe sere sono rimasta fuori perché avevo bisogno di stare per un po' alla larga da quella strana gente, strana cioè incomprensibile, strana cioè marziana, troppo ma veramente troppo grottesca. Gente inventata finché si vuole, ma mi turbava ugualmente. Fra loro, non ce n'è uno che sia normale, almeno non come intendiamo noi, persone di medio spessore e di una media Europa. Medio nel senso di rassicurante e riconoscibile, comodamente tagliato su modelli collaudati, su modelli naturali. In questa storia invece tutto è sopra le righe e imprevedibile. Tutto fino alla fine, al the end che sa un po' di rosa, quel rosa del chewing-gum che fa tanto americano.
In sintesi, è la storia - spesso esilarante - di una famiglia scombinata, randagia e purtuttavia felice, e delle stralunate persone che la frequentano e vi si inseriscono nel corso degli anni e dei suoi balordi spostamenti.
All'inizio non mi è dispiaciuto affatto quel tono scanzonato che mi faceva riandare ai telefilm del pomeriggio negli anni '50 e '60, quelli in bianco e nero coi ragazzini che giocavano su praticelli lustri davanti a casette sorridenti, che avevano sempre un cane o un cavallo e una mamma ben pettinata e serena che sistemava tutto e dei nonni favolosi che sapevano compiere miracoli e una scuola grande e luminosa con i campi da basket e un mondo di privilegi che noi qua manco ci sognavamo. Era l'America libera&felice che ci insegnavano a credere, un posto speciale - il migliore, l'unico al mondo - dove i sogni e i desideri avevano diritto d'asilo e bastava la fede innocente dei bambini (quelli per bene, però, quelli con i sani principi) per realizzarli.
Così, ho ben accolto questa lettura come fosse una digressione rasserenante in un mondo trasognato.
Ma quasi subito mi sono ricreduta. Quasi subito ho avvertito dell'altro, un gusto aspro che corrodeva questo iniziale piacere, che mi spiazzava, o mi respingeva.
E anche una volta chiuso il libro, seppure dopo quel suo epilogo tutto sommato conciliante (politicamente corretto, all'americana), mi resta il dubbio di aver letto un'opera non del tutto equilibrata: o meglio, è un romanzo molto leggibile e godibile, che avvince, che incuriosisce, che stupisce e spesso diverte, insomma che non si riuscirebbe a lasciare a metà. Tuttavia turba - o mi ha turbata - l'assenza di una linea di demarcazione tra l'invenzione grottesca e la crudezza di certe realtà esplicite e insistite. L'impianto sembra quello di una storia svagata e surreale, con personaggi caricaturali e ambienti disegnati con i pennarelli come i fumetti, ma i riferimenti alla realtà e ai suoi aspetti anche perversi contaminano questa atmosfera di cartapesta a colori, inserendosi come pugni nello stomaco e senza il viatico di una censura morale. Anche in questo romanzo ci sono i buoni e i cattivi, ma gli stessi buoni non sono poi così buoni e puliti: nelle loro vite entrano e ristagnano con ingiustificata leggerezza comportamenti viziosi verso i quali l'autore esprime la più indifferente indulgenza. Non è un giudizio morale, il mio, né moralistico. E' solo un giudizio sulla non equa distribuzione dei valori all'interno della narrazione. Stupri, incesti e disordini sessuali di vario tipo, e poi la violenza gratuita, il terrorismo e la morte stessa, che accompagnano e caratterizzano infanzia e formazione dei protagonisti più giovani, vengono descritti accanto agli altri eventi quotidiani come normali e perdonabili anch'essi, nello stesso stile disinvolto e familiare che rende invece così azzeccati i numerosi passaggi e quadri umoristici. Il tutto avviene sotto gli occhi di adulti poco attenti: una madre precocemente uscita di scena, un nonno bislacco e mai cresciuto, un padre sognatore irresponsabilmente e a oltranza, cui il finale riserva una cecità di fatto che riflette quella virtuale della sua vita precedente.
Resta comunque la sensazione di un libro originale, vivo e a cui ci si affeziona, di quelli che si chiudono con un po' di rammarico, ma anche, da parte mia, con un vago senso di sollievo.
In fondo, è fiction. Più o meno.


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