|
Su Camilleri scrittore, avevo - lo ammetto
- un paio di grossi pregiudizi, che finora mi avevano trattenuta dal leggerlo.
Anzitutto, guardavo con sospetto la sua notorietà così vasta,
e così vasta proprio perché creata, mediata e amplificata
dalla Rai - dove sapevo che l'Autore è di casa - attraverso una
serie di sceneggiati televisivi dedicati al gusto popolare delle platee
di prima serata.
In secondo luogo, ero titubante di fronte all'impresa di leggere un testo
in cui il siciliano predomina sull'italiano, e lo sarei stata anche se
il dialetto usato fosse stato a me conosciuto, si intende, perché
non ho una personale simpatia per queste scelte linguistiche che tendo
a giudicare un po' selettive nei confronti del pubblico.
Poi, un suggerimento intelligente mi ha indotta a verificare di persona
una volta per tutte i miei dubbi, e questo titolo, che esula dalla serie
più famosa e letta di Montalbano, si è rivelato indovinato
per i miei gusti letterari e per le mie esigenze di lettrice. Insomma,
di questo libro parlerò bene, e lo farò con piacere.
Riprendendo un marginalissimo episodio
storico dell'inizio del settecento - l'insurrezione di uno sparuto e impavido
gruppo di umili braccianti contro le soperchierie della nobiltà
locale sostenuta dal doppio oppressore Spagna/Savoia - Camilleri ne reinventa
l'antefatto, ne segue il corso e ne sublima il tragico epilogo, ponendo
al centro la figura del capo carismatico Michele Zosimo dal suo concepimento
alla sua morte per boia.
La prima parte della narrazione è la più felice, intrisa
di una straordinaria atmosfera fiabesca che fonde insieme stravaganze
spagnoleggianti e colorite testimonianze di un'antica civiltà contadina.
Zosimo, il protagonista, è tratteggiato dapprima come pargolo dalla
prodigiosa precocità, e più avanti come fanciullo singolare,
che si stacca da tutti per acume e saggezza; cresce alimentato da esperienze
fuori dal normale e ai confini con la magia, a contatto con personaggi
curiosi e inquietanti come l'ascetico esorcista che ne formerà
la sorprendente cultura. Tutte le figure, anche quelle di contorno, sono
rese con fantasia e insieme verosimiglianza, anche grazie alla costante
dell'ironia, nel segno del divertimento buffo e a tratti della caricatura.
E sono nobili e popolani, domestici e briganti, religiosi e maghi da strada,
un repertorio di figuranti in costume che affollano uno scenario simile
al racconto di un cantastorie o a un sogno.
Un elogio a parte al loro linguaggio, ai dialoghi incisivi e spassosi
nei quali l'uso del dialetto risulta lo strumento vincente. Ma lo è
in tutta la narrazione, che rende oltremodo efficace, ben contraddicendo
il mio timore di trovarmi di fronte a un testo da "tradurre":
anzi, fin dall'incipit si riconosce il valore espressivo di questa lingua
di Camilleri, con la quale è facile e intuitivo familiarizzare
e che sembra essere insostituibile per ottenere tanta spontaneità
e incisività.
La seconda metà del romanzo sembra perdere un po' di smalto: il
ritmo si fa più farraginoso per alcune lungaggini, il tono meno
fantastico e ispirato e più didascalico soprattutto negli insistiti
riferimenti alla Storia vera, ma permane comunque la visionarietà
di fondo che accompagna le vicende centrali e poi quelle finali di questa
straordinaria avventura. La quale si conclude con il ritorno a un registro
lirico e sognante proprio nelle pagine terminali, in cui l'Autore accompagna
al suo ultimo destino il nostro portentoso e infelice eroe. Re per poche
ore, dopo un'incoronazione laica e per acclamazione popolare sul sagrato
della Cattedrale ornato di un tappeto e una poltrona dorata presi a prestito
da un palazzo nobiliare; re cinto da una corona di spine offerta da una
vecchia eccentrica del paese e che già racchiude un segno del fato;
re, ma il più democratico dei re, abolitore dei privilegi e fautore
di una rivoluzionaria meritocrazia, in un periodo storico (e ricordiamo
che la vicenda, seppure oscura, è documentata) che precede di vari
decenni la Rivoluzione Francese.
La scena conclusiva è un capolavoro di poesia: mentre il boia mette
a morte il suo corpo, Zosimo prende il volo in coda al suo aquilone di
bambino, e appeso ad esso porta con sé quelle idee di libertà
e giustizia (e felicità intesa come di esse conseguenza e comunque
umano diritto) che sono il vero messaggio del libro.
Il Re di Girgenti è un
romanzo, un vero romanzo. Ne ha tutta la dignità e lo spessore.
A questo punto io, che non guardo la televisione o perlomeno non se subisco
l'influenza, non provo alcuna curiosità di scoprire chi sia quel
famoso Montalbano per chiarire quel po' di dubbio che mi è rimasto
circa la legittimità della fama di Camilleri: questo libro è
opera di uno scrittore magistrale, e tanto mi basta.
torna a Libri letti
|