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L'aspidistra è una bella pianta da interni, con foglie allungate
e robuste, assolutamente verde. Non fiorisce, l'aspidistra: vegeta in vaso
tutto l'anno saggia e tranquilla, in vasti cespi che infoltiscono in fretta
e si riproducono facilmente dalla base. Sono piante un po' fuori moda, e
se ne trovano per lo più ai piedi degli altari nelle chiese o nella penombra
dei salotti di case vecchiotte, dove dimorano molti anni anche prive di cure particolari
o di buona luce. Un'aspidistra, per esperienza, è una buona pianta
da compagnia, fedele e per nulla esigente. Fa la sua figura.
Ma, si sa, non fiorisce. E' già bella e completa così.
Non altrettanto bella e completa è la vita di Gordon Comstock, il protagonista
di questo noto e insolito romanzo dell'autore del molto più sconvolgente
1984. Il nostro eroe, che ambisce a farsi conoscere come poeta, consuma le sue
grame giornate nel cruccio dell'insuccesso e nella bramosia del denaro.
Che c'entra l'aspidistra? C'entra. E' un po' il
simbolo di quell'agiatezza borghese che il bel tipo tanto invidia, spiando
febbrilmente le soglie e i balconi delle case benestanti mentre un livore puerile
gli sale dentro giorno per giorno verso chi vive una vita più confortevole
e realizzata della sua. E purtuttavia, come non arriva a riconoscere i meriti
di costoro, così non si rassegna a cogliere i propri demeriti, ma anzi
insiste (piuttosto stolidamente) a considerarsi incompreso e perseguitato.
Povero Gordon! I suoi versi sono, sì, va detto, assolutamente atroci, e
del resto come potrebbe nascere poesia da un animo meschino come il suo? Perfino
i sentimenti di una ragazza riesce a vendere, in questa sua ossessione di elevarsi;
già, nemmeno in amore si mostra dotato di una sensibilità meritoria.
Il denaro e la stima dei suoi simili, questi sono i suoi traguardi primari, ma
nella sua desolante sprovvedutezza non fa che cacciarsi in un guaio dopo l'altro
mentre si sforza di raggiungerli. Ed è sempre, ahimè, colpa del
destino, che lo ha di certo in antipatia. Eppure questo stesso destino, alla fine,
inchiodandolo alle responsabilità di una imprevista paternità, gli
offre la migliore occasione per scrollarsi di dosso ribellione, orgoglio e paranoie
e accettare - non senza sollievo - una piccola vita mediocre e pacificata.
Il ritratto di un giovane illuso e di una società miope, questo romanzo
minore (ma non troppo). Lo stile, con le sue puntigliose ripetizioni, è
efficace a riprodurre un'atmosfera bigia e greve. Il significato (la morale)
è alla portata di tutti, ma giova dire che Orwell, allora ancora uno scrittore
agli inizi, sa presentarlo con un retrogusto di appena accennato humour, che in
fin dei conti stempera qualche sensazione di molestia e allenta la tentazione
di cedere all'esasperazione di fronte a tanta insistente insipienza.
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