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Sensazioni contrastanti, quelle che mi
ha suscitato la lettura di questo libro, più volte rinviata malgrado
le periodiche raccomandazioni di un'amica che giudico attendibile nei
gusti e affine a me per sensibilità. E anche quando mi sono decisa
a portarlo a casa, l'approccio non è stato facile, guastato dal
pregiudizio che spesso mi ispirano i libri troppo osannati, anzi solo
dopo un centinaio di pagine almeno ho cominciato a sentirmici a mio agio;
ma di lì in poi, la lettura è diventata sempre più
appassionante, ho scoperto di avere tra le mani un testo di valore e peso
del tutto speciali e l'ho finito con rammarico.
Inizialmente, mi aveva maldisposta il sentirmi quasi violentare da una
prosa verbosa e particolareggiata e dall'introduzione di un personaggio
- la ragazzina Briony che è la protagonista "ufficiale"
- apparso ai miei occhi come sovraccarico di aspetti pedanti, retorici
e in definitiva odiosi. Ho provato un'immediata antipatia per lei e un
insistente senso di fastidio per l'ambiente viziato e vagamente ipocrita
in cui vive, la società benestante, convenzionale e bigotta che
gravita attorno alla Londra dell'immediato anteguerra. Questo contesto
è descritto a lungo con compiaciuta minuzia, nonché con
sorprendente acutezza psicologica soprattutto in riferimento al pensare
e all'agire di una piccola mente femminile che comincia a prendere coscienza
di sé; ed è lì che si colloca la bambina-prodigio
negli anni del passaggio fra infanzia e adolescenza, adulata da genitori
sostanzialmente assenti che non colgono i germi morbosi della sua sfrenata
fantasia e non sembrano partecipare al suo processo di crescita immettendovi
esempi ed insegnamenti equilibrati e realistici. Briony appare ciecamente
dominata dalla sua creatività, che la ispira a scrivere a ritmo
ossessivo novelle dai contenuti ancora perdonabilmente acerbi, ma ciò
che è meno giustificabile e più allarmante è la tendenza
patologicamente spiccata a modificare non tanto la realtà osservata
allo scopo di romanzarla, quanto la percezione stessa della realtà
che la circonda, fino a smontarla come un giocattolo per poi ricostruirla
secondo un proprio immaturo disegno. Il suo talento di futura scrittrice
- che si manifesterà appieno nell'età adulta - in quegli
anni, di formazione sì, ma senza una vera scuola di vita, la induce
a ritenersi onnipotente attraverso il mezzo della scrittura, con il quale
si va convincendo di poter manipolare i fatti e in pratica reinventarli
ammantandoli di verità del tutto immaginarie.
E' troppo bambina e troppo presa da se stessa, Briony, nell'estate in
cui pedina la vita sentimentale della sorella maggiore Cecilia, e poco
dopo assiste a un odioso atto di violenza ai danni della cugina Lola,
considerandosi però di questi fatti privati legittima osservatrice
e non morbosa spia. E' troppo immatura per valutare senso ed effetti delle
circostanze, alle quali in realtà si è avvicinata con un
impulso quasi voyeuristico, e per interpretarli con la prudenza che dovrebbe
consigliarle l'inesperienza. La presunzione di possedere il genio della
creatività si sostanzia in un delirio di onnipotenza, che la acceca
fino a farle rendere, dei fatti osservati, una testimonianza in malafede
e dettata in parte - come solo col tempo confesserà a se stessa
- dalla gelosia e dalla vendetta verso il giovane Robbie, sentimentalmente
legato alla sorella e per il quale provava un acerbo sentimento non corrisposto;
versione che difenderà con testardaggine fino alle estreme conseguenze,
come per salvaguardare il suo stesso amor proprio che la spinge a considerare
vere e plausibili e degne di credito perfino le menzogne che inventa.
E davvero estreme sono le conseguenze, poiché il ragazzo da lei
implacabilmente e dissennatamente accusato di violenza carnale sarà
incriminato sull'unica base delle sue affermazioni, e da quel momento
la sua vita promettente di studio e d'amore verrà irrimediabilmente
spezzata, prima col carcere e poi con l'arruolamento nell'esercito in
guerra in terra di Francia.
Ma altre esistenze, quelle di tutti, subiranno in varia misura le conseguenze
di quel comportamento primitivo di Briony, e con l'aggravante che su di
esse confluiranno ben presto gli effetti molto più reali e irrimediabili
del conflitto mondiale, una tragedia che non si limita a manipolare le
vite come nel gioco di fantasia di una piccola romanziera esaltata, ma
le invade e devasta con la brutalità di una realtà feroce,
che coinvolge i singoli, le famiglie e un'intera generazione e davanti
alla quale l'irresponsabile vanagloria di una ragazzina appare quanto
mai viziosa.
L'espiazione del titolo, nella vita di
Briony, non avviene compiutamente, anzi a espiare sembrano altri fra i
personaggi coinvolti.
E' pur vero che la ragazzina, da quel momento, cresce più in fretta,
inizia presto a rendersi conto della portata a larghissimo raggio e lunghissimo
termine del suo gesto. Anzi, pochissimi anni dopo, rinunciando temporaneamente
agli studi e alle comodità familiari, decide coraggiosamente di
impegnarsi come volontaria in un ospedale dove affluiscono i reduci dal
disastroso fronte francese con il loro carico di sofferenze, follia e
morte, dalle quali finalmente impara a prendere con la realtà un
contatto più umile e producente.
Tuttavia, nell'epilogo del romanzo - che avviene dopo un salto temporale
di parecchi decenni - la Briony che ritroviamo settantenne scrittrice
di successo e ben inserita in un contesto sociale gratificante e più
che rispettabile non ha ancora saputo portare a termine efficacemente
il suo proposito di riabilitare l'innocente condannato per causa sua e
di purificare riscrivendola, lei sola che lo potrebbe, la sua storia corrotta
da un delirio di immaginazione. La versione sincera che scagionerebbe
la memoria della sua vittima è affidata a un romanzo che difficilmente
vedrà la luce, dato che la verità del suo contenuto turberebbe
un ambiente sociale troppo in vista e con delle convinzioni troppo politicamente
corrette perché un editore si esponga attaccandolo. L'assoluzione
pubblica dell'innocente dovrà perciò aspettare che si estingua
un'intera generazione di benpensanti che, all'epoca dei fatti, avevano
preso posizione e l'avevano presa sbagliata, e forse non avverrà
nemmeno mai.
L'unica espiazione di Briony consiste nel non essere mai riuscita a tacitare
la sua coscienza, nell'essersi portata dietro per tutta la vita, ben incistato
fra le pieghe dei rimpianti ma non abbastanza pungente da impedirle di
vivere con pienezza, il rimorso della sua menzogna infantile.
McEwan ha una prosa estremamente efficace
sia nelle descrizioni d'ambiente che nella profondità di analisi
dei caratteri. La sapienza dei suoi profili psicologici è a dir
poco inquietante, e diventa ancora più pregevole quando è
di figure femminili che tratta. Intensità particolare e assoluto
lirismo sostengono la parte per me più densa e partecipata della
vicenda, quella che si svolge durante la ritirata delle truppe sbandate
verso Dunkerque, durante la quale Robbie attraversa stati d'animo di commovente
autenticità e assume la statura di protagonista "morale"
del libro. Attraverso la sua odissea, leggiamo una denuncia della perversità
di quella guerra e di ogni guerra. Sono le pagine migliori, vibranti di
rabbioso dolore per tutto ciò che è falsificante, iniquo,
disumano, e di ancor più rabbioso amore per la vita, i sentimenti,
la sincerità, i valori che la guerra calpesta e spazza via in un
vortice di malvagità mai sufficientemente motivata o giustificabile.
Il confronto tra un personaggio come quello
di Robbie, che la sua vita l'ha vissuta nella pienezza della realtà,
con quello di Briony che per presunzione tale realtà manipola a
suo piacimento e con leggerezza, difendendosi dietro un futile talento
immaginativo e autoreferenziale, è il messaggio inquietante che
mi ha lasciato questo libro, dedicato forse più a chi scrive che
a chi legge, perché sembra voler ammonire che chi possiede il dono
della scrittura ha fra le sue mani la capacità di imprimere alle
parole anche poteri estremi, come quello di vita o di morte.
Responsabilità sovrumana.
E' bene che l'arte, in quanto prodotto di creatività originale,
non cada pedissequamente sotto le regole della morale corrente o delle
convenienze; tuttavia nessuno può negare che esista un codice etico
naturale, non scritto, il quale impone alla coscienza di ciascuno
una umile riflessione su quei doveri umani e limiti morali dai quali non
può prescindere nemmeno un artista in nome della libertà
della sua Arte.
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