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Ti ricordi il naso di Cirano? Atto primo, scena IV: "Se ne potevan dire..."
Ossia: in quanti modi si può descrivere anche una banalità e renderla
diversa, rivestendola a nuovo con acume e fantasia. Il colto Cirano, uomo di spirito
(di esprit), si serve di entrambi con la naturalezza del letterato per
neutralizzare chi lo vuole sprovvedutamente ridicolizzare, canzonandolo per le
dimensioni del suo famoso naso che si limitava a definire "molto grande!",
e gli fornisce di rimando ben venti formule alternative e assai più efficaci.
Insomma, gli dà una lezione. Per inciso, due, perché poco dopo completa
la sua vittoria imponendo all'indignato antagonista anche la sua superiorità
di spadaccino, nel corso di quel duello condotto sulle rime di una ballata estemporanea
che strappa gli applausi delle due platee, quella fittizia della scena e quella
reale del teatro.
E una lezione è questa di Queneau: una lezione di lingua e di cervello,
due strumenti il cui uso (chiamiamolo pure sfruttamento, dato che si tratta di
risorse senza fondo alle quali per pigrizia si attinge sempre troppo poco) può
dare luogo a risultati stupefacenti, come qui si dimostra. Il gioco, che in realtà
è una provocazione tutt'altro che faceta, consiste nel riscrivere
sotto svariate (99!) forme una annotazione di partenza in sé banale e senza
storia: la descrizione di un personaggio qualunque su un autobus cittadino e più
tardi lungo una strada. Ogni esercizio ricalca un punto di vista differente, divagando
dal tono colloquiale a quello dotto, dal bizzarro all'ermetico, dal volgare
al poetico; sfruttando l'artifizio di molte figure retoriche o attingendo
alla varietà dei generi letterari; in ogni caso, basandosi sulla duttilità
espressiva del linguaggio, sia esso accademico oppure elementare, a riprova della
potenza sempre troppo poco sondata di questo mezzo che pure tutti crediamo di
possedere. Umberto Eco, studioso e maestro dei tesori della lingua, ha curato
prefazione e intelligente traduzione di questo testo che, grazie alla sua capacità
di mantenere equilibrio e rispetto nella trasposizione fra due lingue ricche e
complesse come il francese e l'italiano, mantiene anche nella versione italiana
il contatto con l'obiettivo originale dell'Autore.
Non sarebbe ora che nelle nostre scuole entrassero libri come questo, finalmente
moderni e intelligentemente pratici, in una parola veramente istruttivi? Per imparare
a scrivere anche i soliti obbligati temi (o "temini") di italiano
senza annoiarsi e annoiare, e magari scoprire di avere, dentro e da qualche parte,
la voglia di scrivere anche dell'altro, di più e di nostro.
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