|
Un mostro sacro come Dickens, lungi da
me recensirlo; posso solo accodarmi devotamente a quanti lo hanno sempre
indicato come un Maestro di narrativa, psicologia e arguzia. Un Intoccabile.
Tuttavia mi piace partecipare il godimento che mi ha procurato la lettura
di un suo romanzo poco conosciuto, Il mistero di Edwin Drood,
ultimo in ordine cronologico nella bibliografia dickensiana e lasciato
interrotto dall'Autore nel 1870, quando morì dopo averne completato
circa la metà. Il mistero è dunque nel titolo ma anche nella
natura stessa dell'opera, della quale rimasero ai posteri solo vaghi appunti
scritti e qualche accenno verbale raccolto da amici o familiari. Si incaponì
a volerlo completare uno scrittore nostro contemporaneo buon conoscitore
dello stile e delle tematiche dickensiane, Leon Garfield, ed è
grazie alla sua paziente maestria nonché al talento sorprendente
di un traduttore come Pier Francesco Paolini che oggi possiamo accedere
a questo lavoro controverso, affascinante, enigmatico.
Due parole sulla trama, che mi permetterò di sintetizzare al massimo:
l'Edwin Drood del titolo, un giovane onesto e promettente, scompare misteriosamente,
e ne viene incolpato un altro giovane, Neville Landless, altrettanto onesto
ma di temperamento alquanto focoso. Attorno a questo nucleo centrale,
ruotano diverse vicende di carattere sociale e sentimentale, connesse
a una schiera di personaggi dettagliatamente rappresentati e puntualmente
inseriti in una cornice ghiottamente deliziosa quale uno spaccato dell'Inghilterra
di metà Ottocento (ambientazione e contesto nei quali la penna
di Dickens si rivela sempre di impagabile efficacia). Tra i ghiotti ingredienti,
un borgo della benpensante provincia inglese dominato da un'antica Cattedrale
alla cui ombra si stende un caratteristico camposanto, e poi salotti austeri
oppure civettuoli dove si conversa con la studiata retorica del tempo,
un collegio per signorine all'insegna tutta vittoriana della serietà
e della pudicizia, soffitte malsane per studenti a mal partito o oppiomani
derelitti e disperati, una natura affascinante e selvatica che odora del
mare vicino.
Ma più che l'intreccio, in quest'opera va rilevata - una volta
di più, perché non è certo una scoperta - l'abilità
tutta dickensiana di permeare atmosfere lugubri e inquietanti con uno
spirito sottilissimo e sornione, che smitizza il racconto a forti tinte
proprio con la caricaturale sottolineatura di certe sue inevitabili enfasi.
Vien da immaginare il Vecchio Scrittore, avvezzo a ogni aspetto delle
debolezze umane da lui costantemente osservate e rielaborate, intento
a scrivere le ultime pagine della sua vita - già malato e da tempo
- ma ancora e forse più che mai, proprio per la consapevolezza
di essere alla fine, immerso nel piacere creativo, nell'ispirazione incontenibile,
nel fervore della costruzione di frasi, periodi, capitoli, descrizioni,
riflessioni, elucubrazioni particolareggiate fino alla logorrea, come
quando la mente è completamente assorta nel prodotto della sua
creazione e ci vive in simbiosi, non desiderando che trasmettere ad altri
le immagini e le sensazioni di cui alimenta se stessa. Dunque logorrea,
forse, ma deliziosa nel risultato per il lettore, al quale resta impossibile
non accettare l'invito a lasciarsi coinvolgere in quell'immaginazione,
in quella ricostruzione di un mondo che appartiene al passato ma che ci
torna così nitidamente delineato da sembrare plausibile e vicino.
Lode al Traduttore Paolini, e al suo mirabile lavoro di mediazione tra
noi lettori e uno stile ottocentesco apparentemente arcaico ma aderentissimo
alla collocazione e studiato al fine di trasmettere il lavoro dell'Autore
con la massima e più leggibile fedeltà, sia sintattica che
concettuale.
Un libro - un librone, oltre 500 pagine nell'edizione Bompiani del 2001
- consigliabile nelle lunghe serate invernali, da leggere preferibilmente
adagiati in una comoda poltrona accanto a un caminetto acceso mentre fuori
piove e tira vento, senza cedere al senso di colpa se la felice evasione
ci farà - e con rammarico - spegnere la luce molto tardi.
torna a Libri letti
|