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Due settimane prima di Natale, un imbrunire lucido di sereno e gelo, una stradina
stretta tra austeri palazzi ormai nell'ombra e vetrine accese con luci di
festa; una di queste, una libreria. Dentro, soffitto basso, scaffali vecchiotti
e scricchiolio di impiantito. La libraia è da sola, il nuovo romanzo di
Le Carré è in primo piano sul banco insieme alle altre novità,
e diventa subito mio. E' il mio regalo di Natale, spiego, e lei capisce.
Ci mettiamo a parlare come compagne di stanza di questo caro autore, tornato dopo
qualche anno alle sue storie di spie e di ideali: entrambe ne siamo rallegrate,
quel mondo ci mancava, gli ultimi romanzi si sono fatti leggere con un po'
di rammarico. Buoni, sì, e non si dubiti del talento narrativo di Le Carré,
ma è nel suo ambiente più familiare - lo spionaggio - che
si esprime con la maggiore sicurezza ed efficacia. Che poi, spionaggio...
no, non è tutto qua, anzi è riduttivo definire questo uno scrittore
di spy stories: Le Carré, comunque e di chiunque racconti, dà forma
di poesia al suo mondo e al suo linguaggio, e al di là delle vicende d'azione
si sofferma con struggente umanità a indicarne le pieghe segrete, i segni
dell'anima. Perché gli uomini e i casi che lui descrive non hanno
molto di eroico, non sono al centro di scene concitate e violente, non incarnano
il modello dell'agente segreto super-armato, super-tecnologico e super-dotato
di fascino e spregiudicatezza. Sono piuttosto figure dimesse e tormentate, inseguite
da dubbi e terrori, devote all'invisibilità che è il principale
mezzo di sopravvivenza in un mestiere di costante pericolo, dove il sangue freddo
e il saper prevedere sono tutto.
Capisco chi nei romanzi di spionaggio segue la trama e si concentra sulle sue
complicazioni: capisco, trovo normale e perfino ammiro, perché non sempre
è immediato comprendere tutto quello che si svolge e il suo perché,
in questo genere letterario in cui giova molto possedere un certo bagaglio di
letture e un minimo di scaltrezza per non perdersi. Un bel problema, a volte,
tenere conto degli schieramenti, di chi è contro chi, di quando invece
salta il fosso e introduce il doppio gioco o triplo o più e ti esce dagli
schemi che tanto diligentemente ti eri prospettato... che è poi uno
degli aspetti di maggiore fascino di questo genere letterario. Tuttavia io, di
Le Carré, ho sempre preferito leggere e carpire anzitutto le atmosfere,
destinando alle riletture (più d'una per ricostruire con chiarezza
l'intreccio de La talpa, il capolavoro) lo sforzo interpretativo.
Atmosfere sempre così dense da distrarre appunto dalle vicende. A ricrearle
così suggestive deve essere certamente un certo animo inglese, autunnale
e brumoso; come le nottate di veglia nel buio degli appostamenti, traversate da
luci fioche di fanali che suggeriscono un senso di allarme, o le ombre minacciose
di alberi e cespugli in viali deserti di periferie dell'Est, o la triste
polverosità di stanze in affitto ingombre di libri e oggetti anonimi, strumenti
di un mestiere che non ammette il culto dei ricordi privati. I testi di Le Carré
contengono e trasmettono sempre questa precarietà, questo sofferto e poi
accantonato distacco dagli affetti, dal quotidiano, dalla normalità; un
senso difficilmente esprimibile di rinuncia alla propria identità in nome
di un ingranaggio grande e inarrestabile. Sentimenti, questi, che evocano immagini
di nebbia e smog, mozziconi e foglie secche, selciati gelidi e passi sconosciuti;
solitudine, e una attesa inquieta.
Qui, in viaggio nei paesi e negli anni più turbati del nostro recente passato
dal dopoguerra all'Iraq, Le Carré segue il percorso di un'amicizia
virile in bilico fra la lealtà e il dovere, e lo fa con una narrazione
al solito accurata e avvincente, ma soprattutto (questo considero sempre il suo
pregio) con un'attenzione triste e affettuosa, un senso di umanissima nostalgia
che suggerisce l'inevitabilità del suo epilogo. Da un lato, una trama
che si sgroviglia e si riaggroviglia sorprendendo sempre; dall'altro, una
costante, quel sentimento tenace, libero e pulito che resiste agli equilibrismi
di due vite d'azzardo, che soverchia ogni altro rapporto affettivo e le
regole tutte. Un'amicizia estrema, una simbiosi di spiriti che obbligatoriamente
prepara ad una conclusione fiammeggiante, l'unica possibile, l'unica
che spiega, compensa, acquieta. E lascia, sì, un po' di nostalgia.
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