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Amici assoluti
(John Le Carré)

Due settimane prima di Natale, un imbrunire lucido di sereno e gelo, una stradina stretta tra austeri palazzi ormai nell'ombra e vetrine accese con luci di festa; una di queste, una libreria. Dentro, soffitto basso, scaffali vecchiotti e scricchiolio di impiantito. La libraia è da sola, il nuovo romanzo di Le Carré è in primo piano sul banco insieme alle altre novità, e diventa subito mio. E' il mio regalo di Natale, spiego, e lei capisce. Ci mettiamo a parlare come compagne di stanza di questo caro autore, tornato dopo qualche anno alle sue storie di spie e di ideali: entrambe ne siamo rallegrate, quel mondo ci mancava, gli ultimi romanzi si sono fatti leggere con un po' di rammarico. Buoni, sì, e non si dubiti del talento narrativo di Le Carré, ma è nel suo ambiente più familiare - lo spionaggio - che si esprime con la maggiore sicurezza ed efficacia. Che poi, spionaggio... no, non è tutto qua, anzi è riduttivo definire questo uno scrittore di spy stories: Le Carré, comunque e di chiunque racconti, dà forma di poesia al suo mondo e al suo linguaggio, e al di là delle vicende d'azione si sofferma con struggente umanità a indicarne le pieghe segrete, i segni dell'anima. Perché gli uomini e i casi che lui descrive non hanno molto di eroico, non sono al centro di scene concitate e violente, non incarnano il modello dell'agente segreto super-armato, super-tecnologico e super-dotato di fascino e spregiudicatezza. Sono piuttosto figure dimesse e tormentate, inseguite da dubbi e terrori, devote all'invisibilità che è il principale mezzo di sopravvivenza in un mestiere di costante pericolo, dove il sangue freddo e il saper prevedere sono tutto.
Capisco chi nei romanzi di spionaggio segue la trama e si concentra sulle sue complicazioni: capisco, trovo normale e perfino ammiro, perché non sempre è immediato comprendere tutto quello che si svolge e il suo perché, in questo genere letterario in cui giova molto possedere un certo bagaglio di letture e un minimo di scaltrezza per non perdersi. Un bel problema, a volte, tenere conto degli schieramenti, di chi è contro chi, di quando invece salta il fosso e introduce il doppio gioco o triplo o più e ti esce dagli schemi che tanto diligentemente ti eri prospettato... che è poi uno degli aspetti di maggiore fascino di questo genere letterario. Tuttavia io, di Le Carré, ho sempre preferito leggere e carpire anzitutto le atmosfere, destinando alle riletture (più d'una per ricostruire con chiarezza l'intreccio de La talpa, il capolavoro) lo sforzo interpretativo. Atmosfere sempre così dense da distrarre appunto dalle vicende. A ricrearle così suggestive deve essere certamente un certo animo inglese, autunnale e brumoso; come le nottate di veglia nel buio degli appostamenti, traversate da luci fioche di fanali che suggeriscono un senso di allarme, o le ombre minacciose di alberi e cespugli in viali deserti di periferie dell'Est, o la triste polverosità di stanze in affitto ingombre di libri e oggetti anonimi, strumenti di un mestiere che non ammette il culto dei ricordi privati. I testi di Le Carré contengono e trasmettono sempre questa precarietà, questo sofferto e poi accantonato distacco dagli affetti, dal quotidiano, dalla normalità; un senso difficilmente esprimibile di rinuncia alla propria identità in nome di un ingranaggio grande e inarrestabile. Sentimenti, questi, che evocano immagini di nebbia e smog, mozziconi e foglie secche, selciati gelidi e passi sconosciuti; solitudine, e una attesa inquieta.
Qui, in viaggio nei paesi e negli anni più turbati del nostro recente passato dal dopoguerra all'Iraq, Le Carré segue il percorso di un'amicizia virile in bilico fra la lealtà e il dovere, e lo fa con una narrazione al solito accurata e avvincente, ma soprattutto (questo considero sempre il suo pregio) con un'attenzione triste e affettuosa, un senso di umanissima nostalgia che suggerisce l'inevitabilità del suo epilogo. Da un lato, una trama che si sgroviglia e si riaggroviglia sorprendendo sempre; dall'altro, una costante, quel sentimento tenace, libero e pulito che resiste agli equilibrismi di due vite d'azzardo, che soverchia ogni altro rapporto affettivo e le regole tutte. Un'amicizia estrema, una simbiosi di spiriti che obbligatoriamente prepara ad una conclusione fiammeggiante, l'unica possibile, l'unica che spiega, compensa, acquieta. E lascia, sì, un po' di nostalgia.


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