"Come hai detto?"
"Sì, di mangiare qualcosa. Hai fame?"
Le mani nella borsa frugano e si scorticano, sasso-carta-forbice, mi faccio
male ovunque tocchi ma continuo a cercare alla cieca mentre alzo gli occhi,
ciechi anch'essi, e ti interrogo.
"Fame? No, non mi sembra. Sì, anzi, fame. Ma posso aspettare"
Torno a graffiarmi le palme e le nocche. E' pieno di vetro qui dentro, e altri
piccoli oggetti che non identifico, punte di lancia? di freccia? Aghi spuntati,
di quelli con l'estremità esplosa come una cartuccia difettosa, e ossidati
di un color ruggine che infetta. Scosto i pezzi di me sul fondo di questa borsa
e intanto le luci delle macchine si aggrappano momentanee alle mie caviglie,
alle gambe della panchina su cui mi appoggio.
Tu sei alto e in piedi, le mani in tasca, guardi con impazienza i miei deliri,
e non mi aiuti. Non sai. Non capisci cosa cerco. Non ti va di saperlo.
"Va bene, fa niente, non lo trovo più".
"Ok, allora hai finito? Andiamo?"
"Dove?"
Non mi ricordo dove dovevamo andare. Tu avevi fame, hai detto. Sì, forse
anch'io potrei mangiare.
Prima però c'è un posto da andare a vedere.
"Dove?"
"Dove adesso lo dico io. E' laggiù, non è lontano, ti piacerà".
C'è un sasso umido come un ortaggio smorto, accolto nella terra fresca
di sera e rimestata dai loro interminabili passaggi: le formiche.
"Guardiamo, ti va?"
Stavolta ti avvicini un po' di più, c'è un inizio di curiosità,
e la fine di una diffidenza. Ti sento accucciarti accanto a me e per non farti
andar via non mi giro a guardarti. Spiamo insieme da sotto la fessura che ho
sollevato con uno stecco la fuga travolgente ma organizzata delle formiche che
prima difendono la via d'uscita, poi la valicano a frotte impazzite per mettere in
salvo i loro profondi tesori. Hanno costruito castelli e segrete, e ora io li
ho espugnati per la mia imperdonabile curiosità. In un'altra notte li
ricostruiranno, più grandi e fortificati.
Intanto è bello guardarle e tu le guardi con incredula riconoscenza:
sono così tante, perfette, perfettamente uguali, disciplinate e responsabili,
ma anche così veloci; si scontrano passandosi ininterrotti sibilanti
messaggi e non uno di essi andrà perduto in quel traffico di antenne,
non uno: tutti prima o poi seguiranno un imperscrutabile passaparola e arriveranno
alla base, al nuovo inizio.
Ricostruire.
Che vertigine.
"Ti piace?"
Stai guardando ancora affascinato, ma la tensione ora è in calando.
Hai di nuovo fretta, il mondo delle formiche in fuga non ti trattiene più.
Le chiavi della macchina tintinnano nella tua tasca, rigirate dalle tue dita.
Sono innervosite. Sei più lontano, di qualche passo, ti sei girato e
guardi quelle cose che io non vedo mai. Dici sempre che tanto lì non
c'è nulla. A volte mi hai detto che tu sei quel nulla. Io affondo gli
occhi nel buio e tutto il sangue del mio cervello gli si ingorga dentro e la
pelle si strappa nello sforzo di strizzare la vista, ma quel che vedo è
un greto di sassi chiari, e rivoli di acqua azzurrissima e fredda, acqua che
non ha il tempo di ascoltare domande assurde, e scivola ridendo inarrestabile
attorno ai massi di fiume. Di te, ride, di te. E tu non riesci a perdonarti
di doverlo ammettere, di doverti arrendere ogni volta, ma io sto già
raccogliendo per te quello tra i ciottoli che sia il più levigato da
scaldare fra le mani, nelle tue tasche buie, e così sto girata e fingo
di non vederti, così non ti vergognerai di gridare forte la tua muta
miseria contro le mie spalle che comunque la conoscono, che l'hanno sempre arginata,
che a quello servono.
"Ti piace?"
Non ti piace, mi dici, ma lo tieni fra le dita e lo rigiri un po', prima di
vedere che è proprio il ciottolo giusto, liscio come una pelle mai toccata
e piano e aperto come uno sguardo sincero, e quei margini appena dolci lo arrotondano
perfettamente perché tu, un infinito attimo dopo, lo sferzi radente nel
raggio d'aria che lo spingerà a rimbalzare sull'acqua tante e tante e
troppe volte prima di sparire obliquo sotto la sottile superficie color lago
di monte.
Ecco, ora l'hai lanciato lontano da te e non potrai più ritrovarlo. Dovresti
rovesciarli tutti, rovistare tutti i sassi di quel centro di fiume che passa
con sussulti sorridenti, ma anche se ti aiutassi io - e non vuoi - non lo ritroveresti
più.
Domani magari ne cercherai un altro, perché i sassi del fiume sono sempre
qui apposta per quelli come te, nomadi, che passando a caso spostano anche le
cose che incontrano. A caso. Non possono stare ferme, non possono stare sempre
allo stesso posto. E' necessario che si stacchino e che non lascino di sé
che qualche impronta. L'acqua, però, non trattiene le impronte.
Nella mia tasca, ecco qua, guarda cos'ho trovato: è una castagna matta,
lucidissima, gonfia e liscia come pelle di donna, che fa bene solo a toccarla.
La do a te, per me ne trovo un'altra. Per qualche giorno ti resta in tasca calda
e giovane, e non riesci a lasciarla. Finché non si raggrinza
e si spacca e si sbriciola tra la lanugine.
"Allora adesso hai fame?"
"Oh sì, certo, fame. Sì, andiamo a mangiare qualcosa insieme,
come tutte le altre volte".
E' sempre la solita vecchia donna grossa e confortante come una stufa tirolese,
col suo odore di minestre e fumo, e ci conosce molto bene. Dà un ordine
in cucina, con un sospiro tenero e un po' ironico. No, complice.
"Sono arrivati, tavolo per due, e che non ci sia gente..."
Lo dice ogni volta. Lo sa, lei.
"Allora, il solito, no?"
Non aspetta la risposta, lo sa.
Il solito: l'acqua, il pane di ieri, la tovaglia macchiata, il nostro tavolo
dove non c'è gente.
Ce lo preparano sempre in quel fienile, o forse è un magazzino, o un
laboratorio dove mio nonno piallava e intanto io piantavo chiodi su pezzi di
legno per passare il tempo della mia breve infanzia e della sua breve vecchiaia.
Ci mettono qui, poi ci lasciano soli.
Sanno che per noi è l'unico posto. Sanno che è per questo che
torneremo.
"Allora, ti è venuta un po' di fame?"
Fame.
Fame e sete. Sì.
"Sì, ho fame. Passami per favore un truciolo, un truciolo di legno
biondo come di un bambino ignaro che gioca su un pavimento di polvere, e fammi
bere, anche. Fammi bere dal tuo bicchiere".
"Dalla stessa parte?"
"Sì".
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