torna a L'amore


Ti va di mangiare qualcosa?

M.Utrillo - Le Lapin Agile, 1909

"Come hai detto?"
"Sì, di mangiare qualcosa. Hai fame?"

Le mani nella borsa frugano e si scorticano, sasso-carta-forbice, mi faccio male ovunque tocchi ma continuo a cercare alla cieca mentre alzo gli occhi, ciechi anch'essi, e ti interrogo.
"Fame? No, non mi sembra. Sì, anzi, fame. Ma posso aspettare"
Torno a graffiarmi le palme e le nocche. E' pieno di vetro qui dentro, e altri piccoli oggetti che non identifico, punte di lancia? di freccia? Aghi spuntati, di quelli con l'estremità esplosa come una cartuccia difettosa, e ossidati di un color ruggine che infetta. Scosto i pezzi di me sul fondo di questa borsa e intanto le luci delle macchine si aggrappano momentanee alle mie caviglie, alle gambe della panchina su cui mi appoggio.
Tu sei alto e in piedi, le mani in tasca, guardi con impazienza i miei deliri, e non mi aiuti. Non sai. Non capisci cosa cerco. Non ti va di saperlo.

"Va bene, fa niente, non lo trovo più".
"Ok, allora hai finito? Andiamo?"
"Dove?"

Non mi ricordo dove dovevamo andare. Tu avevi fame, hai detto. Sì, forse anch'io potrei mangiare.
Prima però c'è un posto da andare a vedere.

"Dove?"
"Dove adesso lo dico io. E' laggiù, non è lontano, ti piacerà".

C'è un sasso umido come un ortaggio smorto, accolto nella terra fresca di sera e rimestata dai loro interminabili passaggi: le formiche.
"Guardiamo, ti va?"
Stavolta ti avvicini un po' di più, c'è un inizio di curiosità, e la fine di una diffidenza. Ti sento accucciarti accanto a me e per non farti andar via non mi giro a guardarti. Spiamo insieme da sotto la fessura che ho sollevato con uno stecco la fuga travolgente ma organizzata delle formiche che prima difendono la via d'uscita, poi la valicano a frotte impazzite per mettere in salvo i loro profondi tesori. Hanno costruito castelli e segrete, e ora io li ho espugnati per la mia imperdonabile curiosità. In un'altra notte li ricostruiranno, più grandi e fortificati.
Intanto è bello guardarle e tu le guardi con incredula riconoscenza: sono così tante, perfette, perfettamente uguali, disciplinate e responsabili, ma anche così veloci; si scontrano passandosi ininterrotti sibilanti messaggi e non uno di essi andrà perduto in quel traffico di antenne, non uno: tutti prima o poi seguiranno un imperscrutabile passaparola e arriveranno alla base, al nuovo inizio.
Ricostruire.
Che vertigine.
"Ti piace?"

Stai guardando ancora affascinato, ma la tensione ora è in calando. Hai di nuovo fretta, il mondo delle formiche in fuga non ti trattiene più.
Le chiavi della macchina tintinnano nella tua tasca, rigirate dalle tue dita. Sono innervosite. Sei più lontano, di qualche passo, ti sei girato e guardi quelle cose che io non vedo mai. Dici sempre che tanto lì non c'è nulla. A volte mi hai detto che tu sei quel nulla. Io affondo gli occhi nel buio e tutto il sangue del mio cervello gli si ingorga dentro e la pelle si strappa nello sforzo di strizzare la vista, ma quel che vedo è un greto di sassi chiari, e rivoli di acqua azzurrissima e fredda, acqua che non ha il tempo di ascoltare domande assurde, e scivola ridendo inarrestabile attorno ai massi di fiume. Di te, ride, di te. E tu non riesci a perdonarti di doverlo ammettere, di doverti arrendere ogni volta, ma io sto già raccogliendo per te quello tra i ciottoli che sia il più levigato da scaldare fra le mani, nelle tue tasche buie, e così sto girata e fingo di non vederti, così non ti vergognerai di gridare forte la tua muta miseria contro le mie spalle che comunque la conoscono, che l'hanno sempre arginata, che a quello servono.
"Ti piace?"

Non ti piace, mi dici, ma lo tieni fra le dita e lo rigiri un po', prima di vedere che è proprio il ciottolo giusto, liscio come una pelle mai toccata e piano e aperto come uno sguardo sincero, e quei margini appena dolci lo arrotondano perfettamente perché tu, un infinito attimo dopo, lo sferzi radente nel raggio d'aria che lo spingerà a rimbalzare sull'acqua tante e tante e troppe volte prima di sparire obliquo sotto la sottile superficie color lago di monte.
Ecco, ora l'hai lanciato lontano da te e non potrai più ritrovarlo. Dovresti rovesciarli tutti, rovistare tutti i sassi di quel centro di fiume che passa con sussulti sorridenti, ma anche se ti aiutassi io - e non vuoi - non lo ritroveresti più.
Domani magari ne cercherai un altro, perché i sassi del fiume sono sempre qui apposta per quelli come te, nomadi, che passando a caso spostano anche le cose che incontrano. A caso. Non possono stare ferme, non possono stare sempre allo stesso posto. E' necessario che si stacchino e che non lascino di sé che qualche impronta. L'acqua, però, non trattiene le impronte.
Nella mia tasca, ecco qua, guarda cos'ho trovato: è una castagna matta, lucidissima, gonfia e liscia come pelle di donna, che fa bene solo a toccarla. La do a te, per me ne trovo un'altra. Per qualche giorno ti resta in tasca calda e giovane, e non riesci a lasciarla. Finché non si raggrinza e si spacca e si sbriciola tra la lanugine.

"Allora adesso hai fame?"
"Oh sì, certo, fame. Sì, andiamo a mangiare qualcosa insieme, come tutte le altre volte".

E' sempre la solita vecchia donna grossa e confortante come una stufa tirolese, col suo odore di minestre e fumo, e ci conosce molto bene. Dà un ordine in cucina, con un sospiro tenero e un po' ironico. No, complice.
"Sono arrivati, tavolo per due, e che non ci sia gente..."
Lo dice ogni volta. Lo sa, lei.
"Allora, il solito, no?"
Non aspetta la risposta, lo sa.
Il solito: l'acqua, il pane di ieri, la tovaglia macchiata, il nostro tavolo dove non c'è gente.
Ce lo preparano sempre in quel fienile, o forse è un magazzino, o un laboratorio dove mio nonno piallava e intanto io piantavo chiodi su pezzi di legno per passare il tempo della mia breve infanzia e della sua breve vecchiaia.
Ci mettono qui, poi ci lasciano soli.
Sanno che per noi è l'unico posto. Sanno che è per questo che torneremo.

"Allora, ti è venuta un po' di fame?"
Fame.
Fame e sete. Sì.

"Sì, ho fame. Passami per favore un truciolo, un truciolo di legno biondo come di un bambino ignaro che gioca su un pavimento di polvere, e fammi bere, anche. Fammi bere dal tuo bicchiere".

"Dalla stessa parte?"

"Sì".


torna a L'amore