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Occhi celtici

R.Doisneau - Paris, 1950

Hai gli occhi che pensavo, di brughiera. Di foschie nordiche. C'è un senso di lontananza nei tuoi occhi pacati, e la valle profonda del tuo tempo annodato. C'è l'anima dei boschi e delle radure, c'è il cuore sonante del mare. La stupefazione per le orbite degli astri li riga di immensità, la notte, nel riquadro di un lucernario, quando un dio fatto di musica socchiude il suo viso insondabile. Hanno il colore delle foglie mature, quegli occhi, di quando la bellezza si fa al colmo e diventa dono di vertigine. Vedono oltre e parlano dell'abisso perfetto dell'amore, forza terribile e ineffabile condanna. La stanchezza che ti doma il viso non sa spegnerli: in cima alla tua collina, sugli strapiombi invasi da laghi di nebbia, scrutano dentro la terra, instancabili come bambini che non hanno ancora finito di inventare un gioco. E non è per orgoglio che non li distogli mai, ma per sconvolgente umiltà.

Mi brilla un sorriso, uno dei miei sorrisi così poco celtici, così troppo mediterranei, e te li faccio brillare, vuoi? Io voglio.
Non ci puoi fare niente, mi viene da sorriderti. Mi viene da brillare. Mi viene da ballare per te. Per i tuoi occhi celtici che nessun altro ha.
No, non so ballare. Ma potrei ruotare su me stessa ad ali aperte col viso verso il sole, e quando mi girerà la testa, tra quelle mie braccia mi stringerai tu per non farmi cadere. O cadremo insieme, ridendo tra qualche trasparente singhiozzo.

Dici che non si fa, che è troppo? Lo so, di fronte al mio poco, tutto è troppo.
Ma c'è tanto posto quando non si ha più niente di cui aver paura.

... lo sai perché la Luna splende?
Perché è il Sole - il Sole, sai - che la illumina.
E liquefatti insieme li abbraccia il Mare.


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