torna a L'amore


E' finita
(3 esercizi di stile)

E.Munch - Sommernachtstraum, 1893

E' finita - 1

Quella volta che sei sgusciato nell'ascensore all'ultimo istante, un alito di camicia fresca e odore di uomo impeccabile.
Ho provato a farmi seguire fin lassù, ma non hai capito. Sentivo che mi guardavi anche se tenevo gli occhi altrove. Sentivo che da lì hai cominciato a desiderarmi.
Non mi hai seguita, non ti ho trattenuto. C'era il tempo, un'altra mattina come quella.

Quella volta che pioveva e ti ho preso al volo sotto il mio ombrello, fino al taxi, e abbiamo diviso un pezzo di città buia e luccicante e abbiamo appannato i finestrini con parole di convenevoli. Ho voluto pagare la mia parte, ne siamo usciti pari, da quella partita. Domani mi avresti offerto il primo caffè sotto i portici, e il pavimento aveva losanghe di marmo bianco e rosso con scalpiccii di pozzanghere frettolose.

Quella volta che hai raccolto i fogli scivolati dal mio abbraccio, e nel tirarti su mi spogliavi le caviglie e le gambe e tutta me, e nel porgermeli come stracci trascurati mi hai ficcato gli occhi dentro gli occhi con impudenza da mascalzone, e così senza volerlo ti scoprivi. Hai chiesto? No.
Eppure la sera già mi aprivi lo sportello davanti a casa tua.

Quella volta che ho fatto l'alba danzando un tango, una passacaglia, una pavana, al ritmo del sangue e dei suoi misteri, e poi c'è stato tutto quel vino e quel rumore nelle orecchie, ricordi no? che rumore facevano le parole per inseguirci, come sgusciavano impazzite nelle strade fonde, cercando gli angoli e i portoni, gli squarci di stelle invernali tra i cornicioni, chiedendo di noi e cosa fossimo noi, anche noi come loro fuggiaschi, falene senza bussola a sbattere sui vetri del buio.

Quella volta che hai imprecato la tua solitudine e l'orrore del vuoto davanti a me, e subito dopo era di me che avresti voluto avere orrore e paura, e invece non te ne ho lasciato il tempo, mi sono tolta i vestiti uno dopo l'altro, ti ho mostrato senza imbarazzo le strade che ignoravi, ti ho indicato dove lasciare segni di te, dappertutto il corpo, su tutta la pelle, anche qui, no non fa male, continua, non aver paura, è bello così, è buono così, e qui e qui, se vuoi ora mi volto, è tutto, hai tutto, scrivi, scrivi addosso a me, la storia già scritta, quella che non trovavi più, scrivila sopra di me.

Quella volta che il fiume ha dato acqua e ne è venuta una piena lenta e ampia, forte e estenuata, e gli argini l'hanno accolta tra solchi di sete, ed erano poesie che non avevi ancora scritto ma le avevo raccolte io dal tuo davanzale e dalle tegole dove abitavano come uccelli notturni, e poi una dopo l'altra le parole che affioravano dalla terra secca si riconoscevano e ne gioivano come di sorpresa, ma non era una sorpresa, era solo un inatteso ritrovarsi. Una festa in campagna, di papaveri e di anatre selvatiche, le canne palustri che frusciavano l'ombra sui tuoi fogli, e i tuoi fogli che volavano lungo le sponde e annegavano di vita dove il grigio delle nuvole confina con quello dell'acqua bassa. Io c'ero.

Quella volta che si è acceso il riflettore e tu sei diventato un dio, la preda su cui i ladri e le puttane potevano finalmente mettere le mani, accecati come te, e io nell'ombra a contare quanto saresti potuto resistere, ma tu resistevi, non ti sottraevi, ti inchinavi con la mano sul cuore (blasfemo... ) per farli impazzire di ingordigia e per darti con ancor più smodato orgoglio, ignaro che non era quella la sfida da vincere, la sfida per te. Eppure ancora c'ero. Stavo dietro le quinte, con le nocche pallide e gli occhi accesi.

Quella volta che vuotando i posacenere degli invitati sono entrata per un istante, un intempestivo istante, nell'obbiettivo di un fotografo che aveva visto Blow up e che nel buio rossastro del suo sgabuzzino mi ha stanata dallo sfondo della tua vita, mi ha ritagliata dalla tappezzeria del tuo salotto frequentato da teatranti di prestigio, me, l'ombra di passaggio, la custode discreta che si ritrae nelle stanze segrete. Quella volta che per inventare la mia identità hanno rovistato nei rifiuti sotto casa, e hanno trovato i tuoi fogli bianchi e i miei fogli affollati di insensate meraviglie, quelle di cui ti avevo fatto sognare notte dopo notte. Quella volta che sarebbe stato meglio non ci fossi mai stata, e non ti avessi mai dato le cose inutili di cui vive la gente senza padrone come te. Quella volta che dopo non ce n'è stata un'altra, perché il mio corpo era tutto coperto di te e mi hai lasciata indietro. Adesso sì, che non c'ero più.

Non è stata colpa mia.


H.Matisse - Vaso con pesci rossi

E' finita - 2

Ti ho lasciata. Credo, almeno.
Sì, dev'essere così, perché ora sto salendo le scale da solo, e sul pianerottolo infilo già la mano in tasca e sto per entrare, e tu non sei qui.
Devo averti lasciata. Non c'è altra spiegazione. Devi essere rimasta giù in strada, a confonderti tra gli sconosciuti che ti scansano e quelli che parcheggiano in seconda fila.
Mentre giro la chiave sono improvvisamente certo che dall'altra parte ti troverò, che mi stai aspettando, che la luce sarà accesa e dallo studio mi avvinghierà la tua musica.
No.
Il frigo è vuoto, piatti da lavare nel secchiaio, scelta iconografia dell'abbandono.
Allora è vero, ti ho lasciata, ti ho lasciata andare.

"Ma tu sei sicura? Perché io vedi, non so mai... cioè non sono il tipo che..." "Sì, ho capito, ho capito benissimo. E con ciò? Guarda qua, che meraviglia questo viale di foglie ruggini, senti che buon odore la stagione che muore, non farti domande."

Forse mi stai già cercando, non rinuncerai così facilmente, ti conosco.
Guarderò il display del cellulare, sento che stai inviando uno dei tuoi messaggi.
No, che idiota, ero io che li mandavo a te.

"Ci sei?"
"Sì"

I tuoi sì, li maledico. Maledico ora anche i miei no. Da qualche parte dovrò ricominciare, e lo farò dalla fine. Ruspe sul cuore, calcinacci dappertutto, piazza pulita.

La piazza era tutta in sole, attraversata da quell'ombra dritta... com'era? non mi ricordo più. Cristo, so solo che c'eri, passavi coi tuoi colori tra il grigio della gente, e non potevo, non potei, non sbagliare

Me ne sono andato io, mille e più volte, ma arrivavo solo fino al primo angolo, poi superarlo era impossibile, tornavo indietro a chiedere.
Chiedevo balbettando, le parole le intuivi tu, io non le avevo, le avevo sprecate tutte.
Tiro le tende, faccio buio, e ancora mi spii dalla lucina rossa dello stand-by di qualche cosa, il televisore rotto, lo stereo stonato, boh, il mio cervello disconnesso.
Però almeno ti ho lasciata, e l'ho fatto io. La fine appartiene a me.
Io appartengo a questa fine.

Stavi su quella soglia, un enigma di non-tempo. Vendevi a tutti la stessa rosa, a me la donavi. Perché? Sei indietreggiata piano nella penombra e io ho seguito il tuo odore, come un randagio. Perché? Le rose non sono per i randagi

Una doccia. Una pioggia acida. Acido in bocca, di fumo vecchio, di digiuni e vino. Ricordarsi di chiamare un'impresa di pulizie. Dare aria, sbattere i tappeti, l'amore perde il pelo ma non i suoi vizi, e qui c'è forfora e polvere dappertutto. Forse è cipria di donna. Forse gli afidi delle rose.
Giusto: bagnare i fiori sul davanzale, annegarli di veleno.
Il gatto; via, fuori dai piedi, non me li scalderà più, vada anche lui per le strade a rovistare avanzi.

"Facciamo a metà, io ne ho per due" "No, non ho fame. Volevo dire, ho troppa fame, non mi basterebbe. Mi farebbe solo peggio" "Allora stai bene così?" "Sì, sto bene così. Non mi serve niente" "Se stai bene tu, starò bene anch'io. Se non ti serve altro, non ne servirà neanche a me"

Invece adesso che non ho più fame di niente avrei bisogno solo che tu ci riprovassi, ma come dirtelo, se ti ho lasciata andar via? Come ritrovarti se non voglio più averti? Come averti se non ti lascerai più ritrovare?

"Tu fai sempre tante domande, è come se..." "Come se?" "Come se stessi sempre per cadere. Ma io ti tengo, sai"

Si deve essere fulminata la spia rossa. No, mi avranno staccato la corrente.
Il cellulare è scarico. La chiave di casa si è spezzata nella serratura.
Il mondo è isolato.
Ti ho lasciata.
Ora ne sono sicuro.


A.Modigliani - Donna con i capelli rossi

E' finita - 3

Questo ti sia chiaro una volta per tutte: ti ho amata per gioco, e ti ho amata per poco.
Ti ho voluta per scommessa, e ti ho vinta con quattro soldi.
Ora, non ti aspetterai certo che uno come me si accontenti di roba da quattro soldi, vero? No, perché se è così che credevi allora non hai capito mica niente, di me, di te, di noi, e quindi vedi che una volta di più ho ragione io.
Ho sempre avuto ragione io.

faceva freddo, la sabbia si andava appesantendo nella sera, ti tirasti i polsini del maglione fino a coprirti le mani e io ti abbracciai le spalle piccole, e piangevo dentro - me lo ricordo benissimo - per l'incredulità di essere io quello che poteva riscaldarti

Allora anche stavolta stai zitta, stai al tuo posto e fai parlare me, che le cose te le spiego io. Ti dico io cosa devi fare adesso.
Ti prendi le tue carabattole - tutte, eh?, tutte -, senza frignare, capito? non voglio sentir frignare, ti prendi su il tuo fagottino e sparisci.
Fine, stop, capolinea. Aria. Tempo scaduto.
Ridammi la chiave.

tacevo e ti guardavo prender sonno rannicchiata sulla poltrona. Per farti posto avevo ammucchiato libri e fotografie dappertutto, per terra e contro le pareti, e tu ti lasciavi andare sotto i miei occhi, il viso riverberato dal fuoco del mio inverno, i sogni fuggiaschi che dormivano con te, io che per non perderti nemmeno un istante avevo dimenticato per sempre di dormire

Non ti devo niente, non mi devi niente. Siamo pari. Ti avevo avvertita, niente impegni, massima libertà. Non credo nei legami, non mi fido di nessuno. Peggio per te se non mi hai creduto, se ti sei fidata. E' un tuo problema. Io adesso ho altro per la testa, sto pensando seriamente a un viaggio, un gran bel viaggio. Mi serve il letto per metterci sopra la valigia.

ti prego ti prego ti prego, non dirmi dove vai, con chi stai quando esci di qui, cosa ci fai e per quanto tempo, non dirmi quante volte hai scambiato il mio (oh Dio) il mio amore, sì, il mio amore con il sesso di tutti gli altri, tutti quelli che ti sospiravano sotto la finestra (di casa mia, perdio, la casa dove stavi con me... ), ascolta, guarda, non voglio saperlo, basta che ritorni qui ogni volta, che ti lasci carezzare i capelli aggrovigliati dai tuoi amanti e lavare le tracce delle loro mani da quel tuo corpo che ti appartiene, sì lo so, ti appartiene, e io ne sono solo il più inadeguato adoratore, ma ti prego ti prego ti prego, torna ogni volta e lascia che io continui futilmente ad adorarti

Ecco fatto.
Ancora qui? Non dirmi che non sai dove andare, non ci credo neanche morto.
Non dirmi che sai dove andare, perché se lo saprò verrò a cercarti, non potrò farne a meno, è per questo che ti lascio, ti lascio adesso e lo faccio io, perché non sopporterò che lo faccia tu, né domani né mai.


torna a L'amore