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E adesso che non ci è bastata la notte, il letto, i cuscini e le coperte
per traverso, le stecche di pulviscolo di nebbia che rigano il pavimento della
mattina, il termosifone freddato dopo avere schioccato per ore mentre fuori la
città zitta gelava sempre più profondamente, e che un cigolio dal
cortile riempie il grigiore con voci di tosse e vetri che si spaccano, ora che
non so più trovare dove ho messo le mie cose, i pezzi che mi hai tolto
per umiliarmi di più, mescolati a tazzine sporche di cattivo caffè
non bevuto, a fianco di quella lampada color crema che si è fulminata per
dimenticanza...
... no no cosa dico, i pezzi che mi hai tolto, no no: che mi hai imposto
di togliermi da sola sotto i tuoi occhi socchiusi (disgustati? o solo amari?),
uno a uno, e tu immobile e di ghiaccio lì in piedi a controllare spiare
pesare mai fidarti, fino all'ultimo lembo che stringevo per non cedertelo - le
palpebre chiuse, il vuoto, il cielo nero e profondo dei miei occhi stretti sulla
notte di me - sì perché questo è stato, un ordine,
un'imposizione, un atto di tirannia malvagia e inutile, solo per piegare fino
in fondo l'orgoglio della mia mente, la mia cosa migliore, quella che tu, ammettilo
ormai, quella che tu più ami e siccome tanto la ami così tanto la
odi, perché mai la avrai, mai ti apparterrà per quanto tu ci provi,
per quanto io te lo permetta, ti indichi la via, mai a nessuno se non a me apparterrà,
anche dopo questa insana guerra di sudori e salive e dei nostri succhi selvatici,
queste ore di capogiro e fughe, e catene per non fuggire e ali per volare di più,
che mai si è fermata a lasciarci guardare dietro, quel che lasciavamo di
noi sul tempo che sprofondava prima nell'inferno e poi indissolubile all'alba
risaliva gemendo di rimpianto e rabbia, e intanto passava, quel tempo senza ore,
su di noi e i nostri silenzi, quelli che qui dovevano trovare fine, dovevano aprirsi
in parole, in grida di aiuto, di spiegazione, di.
No, non ci è bastata la notte. Era altro che cercavamo, ma purtroppo.
E adesso?
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