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Mi avvolgo sul pensiero di te, me lo raggomitolo dentro come un bimbo fragile
da allattare, gli offro, a questo pensiero a spigoli, un microcosmo sferico come
un utero foderato di muschio e trifoglio, e lì lo cullo mentre mi strazia
e mi invade le fibre già dilatate, e ne spasimano per trattenerlo senza
soffocarlo, ma con paziente abitudine allo sforzo si adattano ogni istante alla
sua inquietudine, a quei soprassalti inattesi suscitati dal passaggio inevitabile
degli incubi.
Se sapessero le mie viscere rimetterti al mondo altrove, lontano da qui dove ti
è toccato il numeretto sbagliato, in quell'isola dove ho lasciato
per sempre, credo, la libertà della mia mente a nuotare in una laguna e
a nutrirsi solo di sole, e se riuscissi a cambiare i rumori che adesso stridono
tutt'intorno come torture a occupare un silenzio di tenerezza, di assoluto,
e se tu entrassi in me e io in te come l'acqua che passa anche sotto le
soglie delle porte sbarrate e lambisce inarrestabile la terra difesa dagli uomini
che la temono, se dopo il buio in cui ti cresco e in cui mi apparto ci promettessero
una riga di aurora laggiù in fondo, da arrivarci a piedi, senz'altro
aiuto che la speranza di raggiungerla prima di riperderla.
Torno ad avvolgermi sul pensiero di te, e non ancora stanca lo accarezzo di
pace.
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