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Li vedi, quei fiori gialli, quel cespo
selvatico e senza pudore aggrappato alla fine del guard-rail, sbuffato
a morte dal gasolio dei tir che superano rollando la sbarra?
Ci pisciano i gatti del fosso.
Ci si scaldano le mani le ragazze slave che donano una notte di abbandono,
o, a scelta, vendono dieci minuti di miseria.
Ci si impiglia la nebbia d'ottobre che li attorciglia di vanità
e falso argento.
Ci si riflette la smorfia impotente dell'artista vagabondo senza più
acquerelli, ché tutti se li è strisciati addosso con ditate
avide e cattive per provare l'effetto cromatico sulla pelle.
La pelle è già un effetto cromatico, il migliore anzi, e
anche un intonaco di crepe che continuamente frantumandosi non trattengono
più pennellate larghe e gioiose ma solo grumi torbidi di calcestruzzo
che asfissia i pori, che sbava i fiumi di colori intrecciati nella stessa
foce, che risucchia la luce nelle pieghe incrostate delle delusioni.
Oltre la lamiera, oltre il fossato, oltre la campagna abbandonata a se
stessa come un largo letto disfatto e abusato. Oltre qua, per favore.
Case opache, in fila senza nome, e camini che soffocano il grigio basso
ma tenero con un aggressivo nerofumo di caldaie, e di cucina di sacrifici
umani.
Gli uomini mangiano per sopravvivere. Le donne cucinano perché
gli uomini sopravvivano. E' così che va. Vuoi cambiare ma non si
può.
Vuoi cambiare?
Ma non si può.
Le puttane preferiscono scaldarsi le screpolature delle mani ai fuochi
fatui dei topinambours, che sono i fiori bastardi di questa stagione e
delle autostrade. Se tocchi le corolle, lo spolverio giallo sfarfalla
e si trasforma in oro e asfalto, e loro ballano quel piazzale ormai perforato
da tubi luminosi di passaggio, e passano anche loro, passano immense gomme
e rombi spavaldi verso la notte, e dietro i finestrini e le immaginette
accartocciate dal sole di mesi fa, il ghigno di mattone degli uomini che
passano e passano e le lasciano lì, a scaldarsi alle margherite
generose e selvatiche che gli innamorati non raccolgono.
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