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Sia come sia

A.Mucha - Les saisons, 1900

L'inverno durerà ancora a lungo. Però il solstizio è passato, e ogni sera fingo di accorgermi che la luce dura qualche istante più di ieri. Ci sarà il gran gelo, peccato per le stupide gemme che sono già uscite dai monconi dei rosai senza rispettare i patti. Ci saranno le nebbie di febbraio e a carnevale mi travestirò da signora per bene, con le perle al collo e un golfino color verde salvia, così si vedranno di fuori gli anni che compio, ma sotto il vestito niente, come nuda è la mia libertà dalle convenzioni. Torte sacher e frittelle per le feste delle figlie e dei loro amici. Telefonate di parenti sconosciuti e moribondi che una volta l'anno chiamano loro per intristirmi e si dimenticano che l'idea era farmi gli auguri. Acquario, segno di artisti, dicono. Non ci credo. Sono nata perché un forcipe mi ha costretta. Una pozzanghera sempre uguale, a forma di isola, davanti al cancello fino alla fine dell'inverno. Hanno steso male l'asfalto, e ora resterà così. Non mi dispiace, è mia.

Poi comincerà la stagione delle potature e delle concimazioni. La stagione delle erbacce nuove e resistenti, e qualche esame d'università e molti sms e il menu di Pasqua. Pasqua con chi vuoi. Pasqua con i miei. Loro vogliono con me, e sia. Sia come sia. Fuori dalle finestre l'erba più verde e i gatti più allegri. Sarò io a vedere il primo germoglio di oleandro, dopo aver raccolto tutti i narcisi bianchi e gialli per farli reclinare in poche ore dentro un vaso di opale verde-acqua sul tavolo della sala. Mi comprerò una rosellina da tenere sull'angolo del piano così anche quella avrà vita breve, come le altre di ogni anno, per la festa della mamma. Leggerò libri di autori nuovi aspettando che il crepuscolo scenda senza fretta, ma prima dovrò convincere tutti che c'è tempo per la cena, per chiudere le finestre e lasciar fuori il profumo del primo buio di giugno. Glicine e caprifoglio come oppio si arrampicheranno fino al mio balcone, grazie di esistere. Si parlerà di ferie. Si faranno e disferanno patti con il tempo: quello che resterà sarà per me, e lo dividerò con lui in qualche posto dove ci sia mare sì ma non troppo perché lui non si annoi, e obbligatoriamente molti paesaggi e siti d'arte.

Estate piena di insetti al lavoro e calura che si infiltra tra cortine di siepi e spesse conifere. Aria che pesa e si appoggia sulla pelle come salsedine, finché arriva l'ordine: chiudere tutto, accendere il condizionatore. Silenzi di tregua d'agosto quando la mia via va in ferie e resto sola con l'afa e la nostalgia della brezza di mare. Gatti stesi sulle pietre all'ombra, figlie in viaggi senza nome, senza recapito, cellulari senza campo. Pomeriggi a pensare cosa scrivere tra le ciglia socchiuse fino all'improvviso scatto, e le dita corrono lontane come inseguite da una voglia, e poi alla fine l'acqua sulla faccia che mi gocciola sulle mani e i polsi e la maglietta, e bevo frutta matura e interro ossi di pesca che non germoglieranno mai. Calabroni sulla lavanda accanto al cancello, che per passare devo scostarla e mi resta addosso quel profumo per me struggente. Valigia sul letto, panico, disagio, elenchi che non mi rassicurano. Vorrei non portar via niente, poi lo so, finisco per portar via tutto. Se parto ho paura. Partire è come improvvisamente non esistere più, reinventarsi altrove, e quel dove non lo conosci. Ma ce la farò anche quest'anno, settembre è la sfida, sarà un posto caldo con case bianche e aria che passa sopra i capelli e strade in salita per raggiungere ruderi di pietre da cui cercare ancora il mare. Sole sul mio corpo che si farà nuovo, che tornerà a piacermi. Altri appunti da prendere, su un blocco fra i teli di spugna. A proposito, ricordarsi una maschera nuova, l'altra me l'ha portata via un'ondata di temporale a Palombaggia.

E con autunno chiudo i sogni, ricucio le rughe, aggiusto i danni delle lumache tra le erbe officinali. Cambio le valigie e via un'altra volta in toscana, in umbria, o in provenza, dove i primi di ottobre mi riportano a tanti anni fa e mi aspetta un altro anniversario, inciso nell'oro e marchiato per sempre al mio vecchio anulare sinistro. Fogli che si staccano dal calendario e dal blocco note, e sono la stessa cosa, il mio tempo che gira in tondo e torna sempre. Sbrindelli che si impigliano ai rami rosseggianti dei faggi e si mischiano ai mucchi di fermentazione vegetale dove i miei gatti si fanno un tiepido presepio. Non riesco mai ad allontanarlo, mi sta addosso, mi arrendo, che faccia pure, che continui a farlo. Intanto fiorirà tra qualche difficoltà il vecchio calicanthus nell'angolo, e ne porterò dentro rametti stenti a stringermi il cuore.

Il Tempo.
L'unico lusso che mi prendo è quello di non guardarlo in faccia nel periodo più lungo e buio dell'anno, quando cade la luce grigia dal cielo abbassato e corre senza poterla fermare verso il suo culmine di angosce segrete e di effetti speciali, dicembre, il più falso dei mesi.
Vado per la mia strada, gli lascio credere di essere onnipotente, ma non mi lascerò per ora sopraffare.
Dal Tempo.


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