torna a Emozioni


Sacrarmonie

H.Matisse - La musique, 1910

Play, ed è bastato.

Il ventilatore a soffitto che sfalda l'afa notturna e le falene a schiacciarsi sulle pareti sudate adesso è una mano bruna che carezza un tamburello berbero, figlio di costellazioni chiare.
Una figura alta con le braccia sollevate e un caftano che penzola dai polsi secchi. Piccole dune di ombra, le pecore addormentate dalla voce che si tormenta in una musica ancora da scrivere.

Dove vi ho visto prima di adesso, se non nel silenzio che è arrivato giusto a spalancarmi la notte soffocata da queste paludi di città...

Guardalo, il violino, che eccita sentieri e gemiti sul bianco del monitor accaldato, e un unico filo suadente congiunge vene e parole, un filo su cui veloci, piccoli, equilibristi piedi trovano l'unica strada possibile, tesa fra i tetti degli uomini e i pianeti di Dio. Un filo d'acciaio come le passioni, di blu come il velluto notturno, d'argento come una lama splendida.

Così fa la musica quando trova una fessura armonica in mezzo a quelle aride, tagliate da vene asciutte.

Io e il mio monitor, la musica sotto e dentro, la musica che piange dalle pareti in ombra e me le abbraccia attorno, marea che sale prima sulle caviglie nude e poi mare, oceano e gorgo vertiginoso su tutto il nudo di me.

Con mani d'acqua e limo affondo selci o diamanti tra i lembi frastagliati di interminate cicatrici, frugo a colpo sicuro l'alveo delle loro radici, e si fanno cristalli ribollenti al fuoco del nitrato d'argento, che uccide e poi restituisce.

Dalla ferita purificata,
ora scrivo.


torna a Emozioni