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Odori |
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Il fumo di legna che stria la nebbia. Crema solare, plastica calda di sole. Cipressi al cimitero ebraico, e gabbiani. L'inchiostro e i libri nuovi, la gomma-pane. ... momento, e questi? L'odore di Parigi quando ci arrivi la prima volta in treno (pane croccante
e delicata frittura), e quello del métro come di abiti comodi e
infeltriti, e l'aria smossa di foglie e violini di artisti di strada a
place des Vosges, e la ruggine e lo spolverio di ferro quando scendi di
corsa e a pieni polmoni dal deuxième étage della tour Eiffel,
e la pelletteria e i profumi da prostituta della Samaritaine, e il cartone
e gli inchiostri delle stamperie a Saint Michel, e il pigro tanfo africano
dagli sgabuzzini dei neri di Belleville, e la cera di candele e il legno
tarlato e i velluti reali di Saint Germain l'Auxerrois, e il vuoto gelato
e ventoso di certi angoli di piena notte fuori dalle strade abitate dalla
gente ma traversate da innamorati o da folli o da randagi o da tutti questi.
Gli escrementi di uccelli e le edere marcescenti del Père Lachaise. Poi arriva solo la mancanza di ogni odore e di ogni sussulto nell'asettico
confort del TGV, e per prolungare l'addio sfoglio un libro qualunque comprato
alla Fnac. ... e ancora i venti che si intrecciano a place de la Bastille coi ragazzi che roteano sui pattini e le cartacce che si alzano verso i vetri dell'Opéra, e il rosé del Médoc ad un tavolino tondo con la gamba di ferro battuto verde, e per terra le cicche per i clochards, i pisciatoi dei gatti, il fiato dei barcaioli sul canal Saint Martin prima che schiarisca il cielo e la loro voce ruvida, l'acido di teste frisé di antillane ingioiellate di chincaglieria, l'incenso stordente del marché aux fleurs di place Lepine, e lo struggente umidore della Conciergerie, e quel giorno che alle Tuileries una ragazza vestita di valenciennes e cerone rimase immobile a raffigurare la contessa di Castiglione per venti minuti e io annusavo senza reagire la polvere secca di sandali di giapponesi che non resistevano a bruciarne la perfezione coi loro flash al fosgene, e poi non bastò un kyr a rimediarmi l'appetito e sedetti sul bordo della vasca fuori dal Louvre e ci tenni dentro i piedi mentre folate da Le Havre mi spruzzavano gocce della fontana sul viso e sulle braccia... Io a Parigi preferisco andarci in treno. Dieci ore, oui, bien sûr, ma vuoi mettere come ti viene incontro subito e tutta odorosa e spalancata come una cocotte giovanissima e stupenda? E ti offre mughetti e coccarde, e un croque-monsieur su una panchina al Vert Galant? Va bene, era un sogno. torna a Emozioni |