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Datemi, per favore |
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Una sdraio al sole, o anche solo una stuoia, un asciugamano; anche niente.
Rintocchi fondi a mezzogiorno in mezzo alla pianura, ma niente case uomini
campanili, macchine per lavorare la terra, animali che trascinano ore senza
coscienza. Solo rintocchi fondi ma per nessuno se non per me. E che
risuonino vagando senza fretta e dolore attraverso tutto un cielo sbiadito dal
gran cerchio bianco del sole, il sole, quello di prima, quello che mi ha abrasa
come una lastra duttile e rovente.
Odore della mia pelle quando era quella che si sbucciava sui tronchi degli
alberi. Odore della pelle calda e sbucciata delle ginocchia dei bambini, quelli
che si nascondono col cuore in gola per giocare mentre i grandi
riposano chiudendo i pomeriggi estivi fuori dalle persiane, e loro sempre di
nascosto si curano le ferite con ditate ciucciate in bocche di liquirizia. Un treno fermo e spalancato su un binario morto, da percorrere di corsa da un capo all'altro, per vedere che cosa lunga e vuota nasconde quando non c'è dentro la gente che chiacchiera e esala, e sposta cose pesanti e brutte e perfino rancide, come loro, come la gente che non c'entra, con me: gli altri, quelli che mi spingono senza vedermi, e che io sfioro senza raggiungere. Niente gente, ma i sedili vuoti e le orme leggere dei sogni di chi ha già viaggiato e alla fine è dovuto scendere.
Un vento che mi porti la pioggia, che anche quella dà da vivere come il sole,
e io non potrei farne senza. Una pioggia che avvolga senza pungere, che mi
pianga dentro il cuore così come pioverà sui giardini della
città, e dopo ne nascono fiori strani e dalla vita incerta, ma nascono
e questo è sicuro. E poi un altro vento per aggrovigliare le ombre della
notte fuori dalla mia finestra, e che mi danzi dentro i suoi spifferi -
pianti anch'essi - chiedendo di entrare, o che esca io; uno che cerchi fino
all'alba la sua strada e non la trovi se non qui fra pareti di nuvole di confine.
E alla fine un altro vento ancora che tutti li congedi con grazia e splendore,
e che le cose luccichino al suo strascico gentile, e le cartacce volino a infiorare
rami schiantati e a farli sbocciare a gennaio. [E tu, tu che invece sei infelice, tu, cui darei
almeno la metà di questo niente di cui guai non vivere, tu cosa
vuoi, perché io te lo cerchi nei cestini dei rifiuti dei sapienti,
nei groppi di segatura e erba disseccata a impagliare sogni rinnegati
dalla stanchezza... torna a Emozioni |